Il silenzio della Thailandia su quanto avviene nel Myanmar ha un costo umano notevole specie se alle sue frontiere orientali si profila una crisi umanitaria.
L’arrivo del mese di febbraio ha portato il solenne anniversario del golpe militare birmano del 1 febbraio 2021 che ha visto la cacciata dal potere del governo eletto democraticamente del NLD.
Da allora il costo umano è grave. Ci sono oltre 14 milioni di persone nel bisogno immediato di assistenza umanitaria, oltre 8800 persone restano rinchiuse in carcere con accuse false o deboli ed oltre 1500 persone sono state uccise.
Mentre i paesi dell’ASEAN come Singapore, Indonesia e Brunei si sono comunque distinti chiedendo l’impegno diplomatico, il consenso regionale su un piano di azione e la nomina di un inviato speciale ASEAN, la Thailandia è rimasta per lo più silenziosa, anche se alle sue frontiere orientali si profila una crisi umanitaria.
Se sia intenzionale o meno, la mancanza di una chiara azione nell’affrontare la crisi ha portato ad un costo umano profondo.
Dall’arresto del leader del NLD Aung San Suu Kyi, la giunta militare di Min Aung Hlaing ha consolidato il potere lanciando sistematiche campagne contro i suoi oppositori politici. E’ stato dichiarato un cosiddetto stato di emergenza e la debole democrazia birmana è stata sospesa mentre la giunta rimuove i membri di opposizione definiti terroristi.
La Cambogia da presidente di turno dell’ASEAN ha annunciato di recente che il ministro nominato della giunta Wunna Maung Lwin non sarebbe stato invitato all’incontro annuale dei ministri degli esteri ASEAN previsto per il 16 e 17 febbraio a Phnom Penh. Nel Myanmar le figure di opposizione hanno invitato i residenti a ricordare l’anniversario con uno sciopero silenzioso nazionale che ha lasciato le strade deserte e i mercati e negozi vuoti.
In seguito al golpe la Thailandia tenne dei primi colloqui tra Wunna Maung Lwin e ministri ASEAN, ma ha anche mantenuto le relazioni personali che legano i militari dei due paesi nonostante le persistenti tensioni etniche.
Mentre il Myanmar da generazioni è un nemico dei nazionalisti thai, al momento le relazioni sono molto calorose.
A dieci giorni dalla presa del potere Aung Hlaing scrisse una lettera al premier thai Prayuth chiedendogli come “sostenere la democrazia”. Anni prima il leader golpista vie in Prayuth qualcuno da imitare.
L’ex capo dell’Esercito Reale Thai, capo golpista nel 2014 e attuale premier aveva portato a termine qualcosa che Aung Hlaing poteva solo sognarsi di fare: manipolare il sistema politico secondo il governo militare e realista.
La tendenza inerziale della Thailandia ha comportato un trauma indicibile dall’altra parte della frontiera.
A fine dicembre, oltre 4000 persone si rifugiarono in Thailandia per sfuggire agli scontri tra i militari del Tatmadaw e l’Unione Nazionale Karen, KNU. Con l’arrivo dei rifugiati birmani nella provincia di Tak, le autorità thai diedero un riparo e assistenza umanitaria essenziali. Il loro arrivo fece salire la cifra totale dei rifugiati nei campi thai ad oltre 91400 e non faceva presagire ad un risultato positivo.
La Thailandia non ha voluto sottoscrivere la convenzione dei rifugiati del 1951, negando lo status legale ai rifugiati e applicando una politica di risistemazione e ritorno volontario nei loro confronti.
In peggio i rapporti ultimi dicono che il Tatmadaw rende la vita difficile per chi sta nei campi limitando l’arrivo di alimenti o fermando del tutto il flusso degli aiuti.
L’ONU ha di recente pregato Prayuth, attraverso l’inviato speciale dell’ONU nel Myanmar Noeleen Heyzer di permettere ai gruppi di aiuto di accedere alla gente nei campi, ma le preghiere hanno incontrato dei sordi.
Mentre la politica thai verso i rifugiati da decenni è stata sufficiente sotto vari governi, la crisi del Myanmar apparentemente legittima un cambio di politica.
Sotto la presidenza Trumps, il governo USA restringeva l’arrivo di rifugiati, mentre altri governi dall’Europa, al Medio Oriente all’Asia Occidentale sono già inondati di rifugiati da Afghanistan, Yemen, Iraq e Siria.
Per chi sta nei campi profughi thai, non ci sarà un ritorno volontario nel Myanmar nelle condizioni attuali e di loro molti sono rimasti lì da decenni.
L’inerzia thailandese la si può spiegare con tre fattori importanti.
Nel primo, il paese ha promesso in varie occasioni negli incontri con i capi di Naypyidaw di rimanere neutrale e di non violare la sovranità degli altri membri dell’ASEAN.
Durante la repressione brutale del 2017 contro la minoranza etnica Rohingya la Thailandia spinse chi scappava dalle atrocità di massa ad andare verso la Malesia o l’Indonesia, negando loro le protezioni essenziali dei rifugiati.
Nel secondo fattore, il governo thai sostenuto dai militari ha forgiato legami stretti di affari con i grandi conglomerati dei militari nel Myanmar. Persino prima dell’arrivo del Covid-19, le esportazioni birmane in Thailandia superavano i 5,3 miliardi di dollari.
Ed infine, la percezione è sconvolgente per il regime. Sarebbe ipocrita aiutare la gente che cerca la democrazia all’estero mentre continua a reprimere i dissidenti democratici in casa propria.
C’è un’opportunità per la Thailandia di giocare il ruolo di mediatrice. Quando fu primo ministro Chatichai Choonhaven, fu notevole il ruolo costruttivo della diplomazia thai mirava ad aprire opportunità economiche nel Myanmar.
Mentre si forgiavano le relazioni personali, molti nel governo di Chatichai e nel partito Chart Thai appartenevano alle elite economiche del paese, nel legname, nei tessuti, nell’edilizia e agricoltura. Queste elite riuscirono ad eclissare in parte i militari.
Era nell’interesse migliore di entrambi i paesi che la Thailandia perseguisse una diplomazia costruttiva anche se le mire erano in gran parte per ottenere materie prime o che il regime thai era corrotto. Negli anni successivi persino dopo il golpe che cacciò Chatichai dal potere, fioriva il commercio di frontiera tra i due paesi.
Le relazioni di oggi, come quelle del passato, devono essere soppesate contro la possibilità di un conflitto che si protrae con un conseguente arrivo esponenziale di rifugiati attraverso le frontiere a Tak, Kanchanaburi e altrove.
La prospettiva di una guerra civile si fa più probabile con vari gruppi che abbandonano la lotta non violenta, come mostrato da Armed Conflict Location and Event Data Project che segna una crescita sostanziale di gruppi armati nel Myanmar. Lo scorso anno il NUG creò una forza di difesa popolare sperando di unificare i gruppi etnici e quelli formatisi sono un comando unico.
La Thailandia è rimasta ferma nell’ASEAN rispetto al Myanmar forse per deferenza verso Aung Hlaing, ma la sua cautela abbondante e la storia delle relazioni di elite la rende il candidato principale per condurre una forma più quieta di diplomazia.
Se perdesse l’opportunità di fare avanzare la diplomazia in mezzo a questa crisi regionale potrebbe minare la posizione della Thailandia nell’ASEAN e nell’Indo-Pacifico. Partner regionali come India e Giappone potrebbero accrescere la pressione esterna.
Mentre il governo di Chatichai credeva di poter condurre la sua diplomazia estrattiva senza la pressione delle grandi potenze, è precario l’atto delicato di bilancio della Thailandia tra gli interessi USA e Cinesi.
Le imprese di stato cinesi sono i fornitori maggiori di piccole armi ed equipaggiamento pesante militare al Tatmadaw, molti dei quali usati contro la popolazione civile. Gli investimenti cinesi nel Myanmar formano oltre un quarto del PIL del paese, ma anche la Cina deve essere attenta.
Anche se la politica estera USA di Joe Biden è stata inconsistente, non è irragionevole assumere che gli USA faranno pressioni sulla Thailandia affinché si muova verso il Myanmar. Ci sono opportunità per entrambi nel ravvivare le ferme relazioni bilaterali.
Potrebbe essere aumentato il dono da 102 milioni di dollari di Biden per sostenere la ripresa dal Covid19 nel Sud Est Asiatico che fu annunciato in un incontro virtuale a cui era presente Prayuth.
La Thailandia potrebbe assumere il ruolo guida di iniziare la vaccinazione contro il Covid lungo le aree vulnerabili di frontiera. Mentre la Thailandia non dovrebbe legittimare ulteriormente la giunta, può dare sostegno materiale alle agenzie di aiuto con capacità e risorse simili.
La Thailandia dovrebbe imparare dal suo passato. La diplomazia di Chatichai nel Myanmar produsse molte più negatività che benefici tangibili.
Fu disastroso aver lavorato costruttivamente con lo SLORC di allora, cosa che fece sprofondare la reputazione thai a causa dei tanti abusi dei diritti umani nella costruzione del gasdotto Yadana. La complessità delle relazioni e l’accusa birmana che la Thailandia aiutava contemporaneamente il KNU portò ad uno scontro tra militari thai e birmani.
Il loro impegno verso lo SLORC aumentò le tensioni portando forze del Myanmar ad occupare pezzi di territorio thai per quasi un anno. Mentre i militari thai premevano a cacciare con la forza il Myanmar dal suolo thailandese, fu un intervento del Re Bhumibol a sdrammatizzare la questione.
Invece la Thailandia dovrebbe rivalutare le proprie aspettative nella relazione con i generali birmani. Il conflitto ha portato gruppi armati e popolazioni più vicino alle frontiere thai portando ad un incidente in cui le forze birmane spararono alcuni colpi di avviso ad una barca thai con polizia di frontiera.
Un attacco recente contro le forze del KNU a Lay Kay Kaw a pochi chilometri dalla frontiera ha mandato tantissimi a fuggire in Thailandia mentre ci fu uno scambio di colpi di artiglieria tra le forze del Tatmadaw e quelle thai.
L’approccio thailandese dello scorso anno non ha dato risultati legando il governo ad un regime dispotico che agisce sempre più in modo disperato. L’inerzia è arrivata con un costo pesante di vite umane che peggiorerà ulteriormente nel secondo anno del golpe.
La crisi sulla frontiera thai, che assume le sembianze di una tempesta all’orizzonte, se non si smorza potrebbe avere un costo anche sulla vita dei thailandesi. Per Prayuth il tempo sta finendo.
Mark S. Cogan, Globe