Aria di baruffa tra la sinistra filippina ed il presidente Duterte, nonostante che tre suoi nominati siano ministri nel governo Duterte come simbolo di alleanza.
Nella giornata del 10 dicembre, però, è stata bruciata per la prima volta l’effige del mostro Duterte che simboleggia le tendenze autoritarie del presidente.
Le questioni sul tappeto sono tante: la crescente preoccupazione dei diritti umani espressa da militanti filippini e organizzazioni internazionali, l’uso da parte dell’esercito della guerra alla droga per contrastare le organizzazioni popolari della sinistra, le continue manovre militari nonostante un cessate il fuoco bilaterale in vigore da agosto,l’altissimo numero di omicidi extragiudiziali in relazione alla guerra alla droga, la questione della sepoltura a Marcos nel cimitero degli eroi. C’è anche, e ben più importante per la sinistra, la questione dei negoziati di pace con la guerriglia NDF CPP che sembra aver incontrato un punto morto.
Un militante del gruppo di diritti umani Karapatan, legato alla sinistra del Bayan Muna, sottolinea queste questioni: “L’effige dipinge la resurrezione e riabilitazione politica dei Marcos e il continuo fascismo di stato, compresi gli omicidi extragiudiziali, il non rilascio dei prigioni politici e le continue operazioni militari”.
Mentre Duterte si è sempre detto disponibile a riattivare i colloqui di pace per risolvere la lunghissima insorgenza maoista durante il suo mandato, la politica antidroga di Duterte si è sempre basata sull’eliminazione fisica di tossicomani e piccoli spacciatori, sin dai tempi di Davao quando era sindaco. Le Squadre della Morte di Davao sono note da sempre. A partire da queste è cominciata la demolizione mediatica della senatrice De Lima contro cui non sono riusciti ancora a portare una pezza di prova di un suo coinvolgimento nel commercio della droga.
Inoltre la riabilitazione di Marcos e la lungimiranza di Marcos il dittatore non sono cose apparse ora. Tutta la campagna elettorale ha visto nei fatti l’alleanza dell’aspirante vicepresidente Marcos con l’aspirante presidente Duterte, nonostante l’appartenenza a due compagini differenti. La regione dei Marcos, Ilocos Norte, ha garantito un solido apporto di voti al Presidente Duterte.
L’aver sepolto Marcos il dittatore al Cimitero degli Eroi, poi, ha fatto totalmente arrabbiare tutte le vittime della dittatura di Marcos e della sua legge marziale.
Amnesty International ha valutato che, durante la legge marziale di Marcos, che andò dal 1972 al 1986, ha prodotto 70 mila arresti, 34 mila persone torturate, 3240 uccisi. Si valutano tra 5 e 10 miliardi di dollari le somme ammassate all’estero dai Marcos, i cui figli difendono a spada tratta.
Tutto ciò non ha impedito a tre ministri legati alla sinistra di prendere parte al governo come ministri importanti perché legati ai settori del lavoro, della riforma agraria e del welfare. Il ministro del lavoro è per giunta capo delegazione del pannello di pace di Duterte al negoziato con la guerriglia maoista.
Ma quello che è successo in questi mesi deve aver cambiato qualcosa nella mente di molti militanti di base: l’esecuzione in strada di migliaia di persone per droga, nella stragrande maggioranza di povera gente; l’uso strumentale che l’esercito fa della guerra alla droga per contrastare i militanti di base che si battono per migliori condizioni di lavoro e di vita; la promozione a capo delle forze armate del generale Edoardo Ano, implicato dalla famiglia Burgos nella scomparsa di suo figlio nel 2007 e mai più ritrovato; nessuna cessazione dei movimenti militari nelle province nella lotta contro l’insorgenza.
“Nonostante una dichiarazione unilaterale di cessate il fuoco non c’è stato nessun rallentamento nelle operazioni di combattimento nelle comunità rurali” dice Palabay di Karapatan.
Si segnalano anche gli omicidi di alcuni militanti di base con lo stesso stile della guerra alla droga. Joel Lising di 40 anni, autista di un risciò a pedali a Tondo Manila, è un capo locale riconosciuto del movimento che si oppone alla scomparsa decretata dei risciò a pedali, fonte spesso unica per i più poveri che provano a darsi un lavoro. Altri dieci esecuzioni extragiudiziali sono state fatte contro popolazioni indigene Lumad e contadini.
Per il Karapatan si usa la guerra alla droga come giustificazione per gli agenti di stato per operare nelle comunità nonostante il cessate il fuoco del governo. In tante comunità non esistono tossicomani ma i militari hanno occupato centri di salute, uffici del Barangay. “I militari sono a comando. I rappresentanti del Barangay non possono fare nulla” dice un militante della zona di Bicol.
Ma è la stessa situazione in tutta la provincia filippina, dove è attivo il movimento contadino o dove è presente la guerriglia del NPA. Si assiste ad una generale militarizzazione del territorio con l’occupazione degli uffici del Barangay e dei centri di salute.
A Mindanao un gruppo locale ha documentato otto casi di omicidi extragiudiziali e due scomparse forzate a carico dei militari, oltre a varie forme di intimidazione e pressione verso le popolazioni Lumad.
Karapatan ha documentato 14 mila incidenti con l’uso di scuole, centri religiosi, medici e uffici pubblici da parte dei militari e sono 13 mila le vittime di evacuazioni forzate da luglio a fine novembre.
Poi se si considera che il capo delle forze armate ha alle spalle alcune scomparse forzate eccellenti, non c’è da ben sperare per il futuro con un rischio di ricaduta anche sul fronte dei negoziati di pace.
Karapatan, infatti, lega il generale Edoardo Ano alla scomparsa di Jonas Burgos, al massacro di Paquibato nel 2014 quando vari contadini furono trucidati durante una protesta a Mindanao, la proliferazione di armate paramilitari a Mindanao, oltre alla morte e all’arresto di alcuni militanti comunisti.
Rispetto a questo il Karapatan invita il popolo filippino a lottare contro il fascismo di stato e contro le tendenza senza dubbio fasciste dell’amministrazione Duterte.
Tutto questo, però, deve anche essere letto guardando alla questione del negoziato con la guerriglia maoista del NPA NDF CPP che Duterte spera di chiudere durante il suo mandato presidenziale e che prevedeva la liberazione dei 400 detenuti politici.
Mentre sono statati già liberati 22 militanti considerati consulenti di pace del NDF, tra i quali i capi del Partito Comunista filippino, restano altri 130 prigionieri politici che Duterte vuole usare per fare pressione sui negoziati stessi.
Queste manifestazioni della sinistra filippina potrebbero essere più una forma di pressione su Duterte che una minaccia reale.
“Ho concesso ai comunisti troppo e troppo presto. Devo però ancora vedere un progresso sostanziale del negoziato … Perderei le mie carte se li liberassi ora” ha detto Duterte, il quale ha chiesto che si giunga ad un accordo per un cessate il fuoco indefinito, controfirmato anche dal mediatore norvegese, per risolvere le altre questioni sul terreno
Fidel Agcaoili del NDF ha definito “allarmante e deludente, un completo voltafaccia” la scelta di Duterte, un qualcosa che tradisce l’aderenza alla politica dei suoi predecessori, un uso da ostaggio dei prigionieri politici al fine di “un cessate il fuoco indefinito o una capitolazione negoziata”.
Agcaoili ha comunque garantito che NDF CPP e NPA si siederanno al tavolo del negoziato, che si terrà dal 18 gennaio al 25 a Roma per le temperature troppo rigide di Oslo in questo periodo dell’anno, per raggiungere il cessate il fuoco permanente e permettere così il rilascio dei detenuti politici e la prosecuzione del negoziato sulle altre parti dell’agenda socio politica.
Cosa succederà dopo non è dato ancora da vedere.