Cosa è una nazione? Se è solo un raggruppamento casuale di popoli, cosa li porta insieme e cosa li divide?
E’ una storia, una religione, geografia, cultura o lingua condivisa? Può essere solo una ragione economica? “Hey facciamo soldi perché non ci mettiamo insieme?”

Per gran parte dell’Asia agosto è stato il mese della bandiera, dei canti patriottici e dei video nazionalisti emotivi. E per favore, non abbiamo bisogno di ascoltare il primo ministro Mahathir Mohamad ed il suo governo cantare così male. Tutto quello che vogliamo è di concentrarsi sull’economia.
Ad agosto stati nazione tanto differenti come lo sono Singapore, India, Pakistan, Indonesia, Corea del Sud e Malaysia hanno celebrato la loro Festa Nazionale ad Agosto.
Talvolta le celebrazioni provocano controversie: i malesi sono indecisi sulla “nascita” della loro nazione. E’ il Giorno della Libertà del 31 agosto o il giorno della Malesia il 6 settembre?
Comunque negli anni 90 e 2000 iniziavamo tutti a pensare, grazie agli autori Francis Fukuyama e Thomas Friedman, che lo stato nazione avesse raggiunto la data di scadenza.
Globalizzazione, libero commercio e frontiere aperte avrebbero minato le identità nazionali fondendole in un mondo senza soluzione di continuità, senza frontiere benedetto dalla democrazia liberale ed il capitalismo. Beh sappiamo tutti come è finita.
Ogni stato nazione si è ribellato. Sono tutti in salute oscena grazie in parte a Donald Trump, dovunque. Eppure restano dei fragili costrutti artificiali. Il compianto storico Benedict Anderson con la solita eleganza li descrisse come “comunità immaginate”.
Erano dopo tutto uno sviluppo relativamente nuovo. I termini stato e nazione sono stati così uniti che ora sono considerati la stessa cosa.
Quasi tutti viviamo in uno dei 186 stati nazione. E mentre essi si fanno più forti, la vita per chi è rimasto escluso, come i Rohingya del Myanmar, è diventata infinitamente terribile, perché senza cittadinanza non si ha accesso all’istruzione, al lavoro, alla proprietà o al sistema di credito.
Eppure uno dei metodi migliori per valutare il successo o meno di una nazione è vedere come tratta le sue minoranze.
Le nazioni hanno bisogno di possedere un’identità complessivamente piuttosto inclusiva, un insieme di idee che possono dare a chiunque il senso di appartenenza. Come altro potremmo pianificare un futuro, sposarsi, avere figli e costruire le loro vite?
Comunque uno stato nazione robusto non è sempre un bel luogo in cui vivere se si è parte di una minoranza.
L’India di Narendra Modi ha scelto un percorso ferocemente maggioritario: affermazione sopra ogni cosa dei diritti e della identità degli Indù. Con lo stato del Kashmir a maggioranza musulmana isolato e gli innumerevoli linciaggi pubblici dei musulmani è stata gettata via la reputazione dell’India come entità tollerante e laica.
Il 31 agosto l’India ha pubblicato la bozza finale del suo Registro Nazionale dei Cittadini. La cosa, che servirebbe per verificare che appartiene e chi no, ha fatto di milioni di musulmani nello stato del nordest dell’Assam, sul confine col Bangladesh, degli apolidi.
Mentre il sistema di governo della Thailandia è estremamente thai e buddista, il ruolo distintivo del re ha molto aiutato a tenere le minoranze legate al centro, o almeno, alla dinastia Chakry. Questo fu vero di certo con Re Bhumibol Adulyadej, ma il suo successore Vajiralongkorn avrà la stessa reverenza?
Di contro la Malesia permette alle proprie minoranze di mantenere la propria autonomia culturale mentre privilegia le norme e fa azioni affermative verso la maggioranza Malay musulmana.
Questo non è riuscito a rompere i muro del sospetto tra di loro. Tutto dall’istruzione agli affari sembra essere politicizzato e radicalizzato, in una corsa verso il fondo.
L’identità nazionale in Vietnam, che segna oggi 2 settembre la propria Giornata Nazionale, è stata pesantemente influenzata dalle proprie battaglie contro la dominazione cinese, i francese e americana. E’ ciò che la definisce che li porta ad eccellere. Essere vietnamita infatti significa combattere e in fin dei conti restare liberi.
L’Indonesia, nonostante sia il paese musulmano pù grande al mondo, non lega la sua identità nazionale alla religione, quanto piuttosto al progetto di costruzione della nazione in cui si imbarcarono Sukarno ed i suoi amici nel 1945.
Ma ci sono le sfumature: persistono in Vietnam le divisioni socioeconomiche e culturali tra nord e sud. L’Indonesia sotto l’Ordine Nuovo soppresse le identità cinesi indonesiane e regionali.
Oggi l’Indonesia deve affrontare le implicazioni delle elezioni indonesiane del 2019 ce hanno portato alla rielezione di Jokowi grazie agli elettori di Giava e non musulmani, con arretramento dovunque specie a Sumatra. Inoltre avanza a Papua e Papua Occidentale lo scontento per i presunti incidenti razzisti contro gli studenti delle province melanesiane.

Infatti gli indonesiani ed i loro capi di stato hanno dovuto costantemente lavorare per essere all’altezza della loro ideologia della Pancasila e del motto di Unità della Diversità.
Ad essere giusti, la recente decisione di Widodo di spostare la capitale indonesiana nel Kalimantan dove vive appena il 6% della popolazione, illustra una decisione conscia di rigettare l’ideologia del maggioritarismo.
Ricorda i primi nazionalisti indonesiani i quali selezionarono un dialetto malay, alla fine diventato Indonesiano, per unificare la loro nazione diversa nascente, una lingua franca del commercio che, diversamente dal Giavanese, tutti avrebbero potuto considerare “propria”.
La ricollocazione della capitale attuale avrà lo stesso effetto dato che deve essere sostenuto da amministrazioni molto dopo che Widodo lascerà la presidenza? Solo il tempo ce lo potrà dire.
Così con alcune eccezioni notevoli, le cose non sembrano andare molto bene per le minoranze in Asia.
D’altronde, il fallimento della elite globale liberale nel fermare l’ondata dei demagoghi populisti alimentati dalle notizie false significa che questa tendenza non si limita al nostro continente.
Ecco dove ci troviamo nel 2019 anche mentre le nostre nazioni celebrano i propri rispettivi anniversari.
La cosa fondamentale da ricordare è che lo stato nazione è un processo costante, di generazione in generazione, mentre cerchiamo di reinventare cosa significa appartenere ad una nazione.
Karim Raslan, SCMP