In quel referendum atto di libera scelta la realpolitik americana di realpolitik consegnò Papua Occidentale al regime di Suharto nel 1969
Lo scorso mese sono apparsi i video di 13 soldati indonesiani appartenenti al battaglione indonesiano che torturava un papuano, Definus Kogoya.
Human Rights Watch ha denunciato che Kogoya “ aveva le mani legate alle spalle ed era stato messo in un cilindro di ferro pieno di acqua. I soldati lo schernivano con espressioni razziste picchiandolo ripetutamente. In un altro video un uomo usava la propria baionetta per tagliargli la pelle mentre l’acqua diventava rossa.”

Sebbene si siano scusati, i militari insistevano nel dire che Kogoya apparteneva all’esercito di liberazione Nazionale di Papua occidentale e che lui e i due suoi compagni, “lui che era morto per essere saltato da un veicolo militare dopo l’arresto”, avevano incendiato una clinica. Poi i militari lo rilasciarono i due uomini vivi senza alcuna incriminazione.
Nel solo mese di settembre scorso almeno dieci giovani papuani sono stati uccisi dai militari indonesiani mentre si sentivano ancora le implicazioni della sollevazione papuana del 2019, la maggiore mobilitazione di massa in decenni.
Quando il resto dell’Indonesia negli anni 50 conquistava l’indipendenza Papua Occidentale restò parte della olandese Nuova Guinea. Giacarta voleva l’intero territorio. Il ministro degli esteri di Sukarno domandò che Giacarta e le sue forze “li buttassero giù dagli alberi” con una espressione razzista dei Papuani che ricordava il razzismo dei colonizzatori europei e che ancora vive oggi.
Negli anni 50 le truppe indonesiane fecero alcune incursioni sulle posizioni coloniali olandesi ma furono respinti anche perché Washington non era certa di quale parte sostenere, dal momento che Sukarno era ancora in buoni rapporti con i comunisti.
Alla fine degli anni 50, mentre si intensificava la guerra fredda e l’Indonesia era percepita come un paese che doveva diventare assolutamente un’alleato, gli americani fecero sapere agli olandesi che non potevano più contare sul loro sostegno per mantenere la situazione.
Sapendo che il loro impero sarebbe presto giunto alla fine e decisi ad essere influenti nella regione, gli olandesi decisero di favorire l’indipendenza per Papua Occidentale e sostennero la formazione del Consiglio della Nuova Guinea nel 1961 che scrissero un manifesto per l’Indipendenza e Autogoverno e dichiararono il territorio Papua Barat- Papua Occidentale.
Ma Washington non sostenne questo sforzo. Invece misero su dei colloqui che portarono all’accordo di New York del 1962. Giacarta ottenne il controllo di Papua Occidentale, ribattezzata Irian Jaya, e dopo un breve periodo di transizione con l’ONU le cose dovevano raggiungere una situazione ottimale con un referendum sulla autodeterminazione che l’Indonesia fu tenuta a fare.
Ad inizio luglio 1969, i rappresentanti ONU presiedettero il cosiddetto “atto di libera scelta”. L’ONU affermò che sarebbe stata un evento equo condotto sotto l’attenzione internazionale secondo le norme internazionali, secondo cui tutti gli adulti dovevano votare. Non fu comunque il caso.
Giacarta intensificò gli attacchi contro i separatisti papuani specie dopo che Suharto divenne nel 1965 dittatore. Dopo di ciò Giacarta scelse 1022 papuani perché votassero nel plebiscito per conto delle 800mila persone nonostante l’impegno ad una votazione universale. Naturalmente votarono unanimemente a favore dell’integrazione con l’Indonesia.
A luglio 2004 nell’anniversario dell’Atto di Libera Scelta, gli USA rilasciarono i documenti segreti sulle deliberazioni USA.
La violazione dell’atto di libera scelta era ovvia molto prima che quel migliaio di persone fu costretto a votare. Nel 1968 i rappresentanti dell’ambasciata americana in visita alla regione notarono che “l’Indonesia non potrebbe vincere un’elezione libera”. L’ambasciatore Marshall Green temeva al momento che i rappresentanti ONU “potevano insistere a favore di elezioni libere e dirette”, mentre Green sottolineava che gli USA e alleati occidentali avrebbero dovuto far sapere alle controparti ONU la “realtà politica” a dire che Washington aveva bisogno che il voto seguisse il desiderio di Giacarta che al momento era un alleato deciso anticomunista.
Ad ottobre 1968, a pochi mesi dal voto, l’ambasciata USA scriveva a Washington sollevata che i rappresentanti ONU avevano ammesso “che sarebbe inconcepibile dal punto di vista dell’ONU, come del governo indonesiano, che emergesse un risultato differente dal prosieguo di Irian Jaya sotto la sovranità indonesiana”.
Eppure il successore di Green all’ambasciata, Frank Galbraith, notava nel 1969 anno del referendum che “forse tra 85 e 90% dei papuani “simpatizzava per la causa di Papua Libera”.
Ciononostante, Nixon e Kissinger visitarono Giacarta nel luglio 1969, mentre il referendum era in corso. Kissinger disse al suo capo: “Non dovresti sollevare la questione” di Papua occidentale e consigliò di “evitare qualsiasi identificazione degli Stati Uniti” con la questione dell’indipendenza o dell’integrazione. Questo da un uomo che descriveva Suharto come un “militare moderato… impegnato nel progresso e nelle riforme”. (In ogni caso, il controllo dell’Indonesia sulla regione fu accettato dalla comunità internazionale, Papua Occidentale divenne formalmente parte dell’Indonesia e sei anni più tardi Kissinger, con l’ombra di un altro presidente americano, guidò l’America a sostenere la colonizzazione e l’occupazione di Timor Est da parte dell’Indonesia.
La ragione per scrivere tutto ciò è che una storia spesso dimenticata. Quanti hanno sentito di Irian Jaya o di Papua Occidentale o sanno che esiste ancora un movimento separatista?
E rimane ancora la nozione che l’imperialismo indonesiano finì negli anni 90 con la morte del regime di Suharto. Questo è vero per Timor Est, anche se gli indonesiani se ne andarono solo dopo tante pozze di sangue.
L’imperialismo indonesiano è tornato alla ribalta delle cronache anche perché Prabowo Subianto, il presidente indonesiano entrante, è accusato di crimini di guerra durante la sua permanenza a Timor Est occupata come capo delle forze speciali Kopassus.
Non è sempre salutare intervenire sulle ferite della storia che si stanno rimarginando, e le relazioni dell’Indonesia con Timor Est, nonostante il suo passato barbaro, si stavano rimarginando da diversi anni. Ma è ben altra cosa che la maggioranza degli indonesiani elegga un presunto criminale di guerra, cosa che sicuramente riaprirà quelle ferite.
Ma questa storia serve anche a ricordare che la politica estera americana è al massimo della sua efferatezza e brutale ipocrisia quando vuole placare dittatori e tiranni per una causa più grande…
La realpolitik non morì con Kissinger lo scorso novembre. La si ritrova sebbene non alle stesse estrenità negli anni 60 e 70 nella politica americana del Sud Est Asiatico oggi.
E’ abbastanza ovvio che Washington non solo tollera ma provoca gli eccessi peggiori del Partito Comunista Vietnamita a causa dell’ostilità cinese per Hanoi.
Ugualmente Washington ora cerca di fare amicizia con Phnom Penh avendo capito che non può condannare l’autoritarismo cambogiano mentre scoraggia l’amicizia di Phnom Penh con Pechino. E quindi il sostegno alla democrazia cambogiana è stato affossato.
Negli altri posti tutti gli sforzi sono nel rivaleggiare con la Cina. Liberazione e libertà, non ultimo il Myanmar, sono le vittime.
David Hutt, TheDiplomat