Strategia filippina per una autonomia tra potenze in competizione

La strategia filippina è di cercare accordi con potenze regionali per una propria autonomia dalle potenze in competizione

Le Filippine hanno scritto la storia quando a marzo hanno consegnato al TPI, Tribunale Penale Internazionale l’ex presidente Rodrigo Duterte accusato di crimini contro l’umanità.

Per molti versi questa mossa è stata sia sorprendente che ironica, dal momento che è accaduta sotto la presidenza del figlio Bongbong del dittatore filippino Ferdinando Marcos che presiedette a massicce violazioni dei diritti umani durante il suo regno decennale alla fine del XX secolo.

Sebbene le Filippine non siano più un paese membro del Tribunale Penale Internazionale, grazie al ritiro unilaterale proclamato dal governo filippino nel 2018, il governo del paese ha giustificato questa mossa con l’obbligo di rispettare gli strumenti importanti della legge internazionale.

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Come conseguenza Duterte è diventato il primo capo di stato asiatico sotto processo da parte del Tribunale Penale Internazionale.

Questo non è il primo risultato della legge internazionale ottenuto dalle Filippine. Quasi dieci anni fa, il paese cercò di preservare i propri diritti di sovranità nel Mare Cinese Meridionale portando Pechino in un altro tribunale de L’Aia sotto l’egida della Convenzione dell’ONU della Legge del Mare, UNCLOS:

E’ vero che la decisione del TPI della amministrazione Marcos è funzionale alla sua politica interna nel mezzo della crescita delle tensioni con la dinastia dei Duterte nello scorso anno. Sottolinea però anche l’emergere del paese come l’ancora di un ordine basato sulle regole nella regione, nonché un partner importante per le altre democrazie di punta in Asia ed Europa.

Non va dimenticato che le Filippine sono il solo paese dell’ASEAN ad aver sostenuto apertamente l’Ucraina contro l’aggressione russa durante l’Assemblea Generale dell’ONU come anche il solo stato della regione ad aver opposto resistenza aperta, negli ultimi anni, al comportamento di bullo della Cina nelle acque adiacenti.

Tra i dubbi crescenti sull’impegno americano ad un ordine internazionale basato sulle regole e il revisionismo preoccupante delle crescenti potenze orientali come la Cina e la Russia, le Filippine perseguono in modo attivo la cooperazione più stretta con potenze dalle simili idee sia per proteggere la prima autonomia strategica che per resistere ai peggiori istinti delle superpotenze in competizione.

Il risultato è l’intensificazione della cooperazione di “media potenza” tra Manila e le potenze marittime democratiche di Giappone, Australia, India ed Europa.

Ora più che mai, le Filippine sono impegnate in una strategia di multiallineati che riduca la propria dipendenza dall’America come anche promuova attivamente un ordine basato sulle regole nell’Indo-Pacifico.

Perciò le Filippine e le altre maggiori democrazie marittime devono accordarsi sia per controllare gli eccessi di Trump che resistere in modo efficace alle ambizioni egemoniche delle potenze revisioniste.

Dopo appena un mese al potere, l’amministrazione Trump ha chiarito il proprio disprezzo sia per gli alleati tradizionali che per l’ordine basato sulle regole. La strigliata pubblica inferta al presidente ucraino Zelensky nell’ufficio ovale e il rifiuto costante di ogni garanzia di sicurezza contro una futura aggressione USA non solo hanno alienato gran parte dell’Europa ma ha anche toccato il nervo scoperto tra gli alleati in Asia.

In teoria gli alleati asiatici di prima linea come le Filippine sono in una posizione relativamente privilegiata. L’amministrazione Trump ha esentato il paese dalla sospensione in corso degli aiuti, e dovrebbe entrare in vigore nei prossimi anni il pacchetto di sicurezza miliardario per le forze armate filippine.

Eppure i rappresentanti filippini importanti hanno messo in guardia sull’affidarsi pesantemente sugli USA. E’ stato proprio l’ambasciatore filippino a Washington, cugino di primo grado di Marcos Figlio, che fu ambasciatore durante la prima presidenza Trump, pubblicamente a mettere in guardia:

“In futuro ci potrà essere un altro presidente. Ma alla fine ogni paese ora deve essere pronto a fortificare la propria difesa e la propria sicurezza economica”.

Ad allarmare le Filippine c’è anche l’ascesa dei neo-isolazionisti nelle posizioni importanti del Pentagono che hanno pubblicamente sposato “i grandi accordi” con Cina e Russia a spese degli alleati di frontiera.

La nazione del sudest asiatico che è ora l’economia più a rapida crescita della regione sta investendo molto nella modernizzazione delle proprie decrepite forze armate a seguito di decenni di insorgenze nazionali e cronica corruzione.

Sta cercando i sistemi missilistici avanzati tra cui il tanto vantato sistema missilistico a medio raggio Typhon, che è al momento è presente con l’accordo di difesa avanzata EDCA Filippine-USA.

Le Filippine valutano anche l’acquisto di aerei da combattimento avanzati, di navi militari e persino di sottomarini nel quadro del suo programma di modernizzazione militare del Horizon 3.

Viste le immense capacità militari cinesi, compreso la sua forza navale maggiore al mondo, le Filippine non si trovano in alcuna posizione per resistere da sole alla Cina.

Perciò non solo massimizza qualunque simpatia possa godere nell’amministrazione Trump, come il segretario di stato Marco Rubio, ma esplora anche legami più stretti di difesa con potenze intermedie come il Giappone che lo scorso anno ha concluso un Accordo di Accesso Reciproco con Manila. Potrebbero seguire accordi simili con altre potenze come Canada, Nuova Zelanda e Francia.

Nel prossimo discorso da relatore principale nel Shangri-La Dialogue di Singapore il presidente francese Emmanuel Macron dovrebbe rafforzare i legami nascenti della difesa con i partner regionali nuovi ed emergenti, tra cui le Filippine.

Manila ospiterà oltre una dozzina di potenze intermedie per una conferenza speciale alcune settimane prima della visita regionale di Macron.

Il risultato è un’opportunità storica per gli alleati degli USA di rafforzare la cooperazione minilaterale contro le potenze revisioniste come anche fare pressione collettiva sull’amministrazione Trump e contrattare una relazione più equa e prevedibile con l’America.

In questa nuova era di disordini, gli alleati degli Stati Uniti, sia in Europa che in Asia, dovranno cercare un posto al tavolo, altrimenti potrebbero finire sul menu di qualsiasi grande affare prospettico tra le superpotenze.

Richard Heydarian, TheInterpreter

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