La morte di Osama Bin Laden e il Sud-Est Asiatico

La morte di Osama Bin Laden ha fatto nascere una grande discussione nel sudest asiatico dove esistono due grandi nazioni a maggioranza musulmana, Indonesia e Malesia, ed altre nazioni dove è forte la presenza musulmana nelle cui aree sono attive da decenni ormai varie forme di insorgenze.

Nelle isole meridionali Filippine, Mindanao e Solo, sono attive da vari anni le insorgenze del Fronte di Liberazione Moro di Mindanao ed è attivo il gruppo di Abu Sayaff che si dice legato a Jemaah Islamiyah e ad Al Qaeda di Osama Bin Laden.

Mentre sono in corso positivo le trattative di Pace col MILF, il gruppo di Abu Sayaff non è stato ingaggiato nei colloqui di pace e rappresenta un secondo fronte alla lotta contro il terrorismo per gli USA che hanno portato nelle isole del sud militari di supporto alla controinsorgenza dei militari filippini, facendo sorgere alcuni dubbi sul coinvolgimento armato di militari americani.

Allo stesso tempo sotto il governo della Arroyo è stata varata una legislazione antiterroristica e liberticida che ha giustificato centinaia di omicidi extragiudiziali.

Sul piano istituzionale si notano le dichiarazioni del premier malese Najib che ha espresso la speranza che la morte del comandante di Al Qaeda possa aprire un nuovo capitolo di pace e sicurezza nel mondo e che lo renda più giusto. Nel frattempo si conferma che le forze di sicurezza malesi sono allertati contro ogni possibile ripresa di attività delle forze estemiste nonostante che non ci siano segni di attività terroristiche.

Va ricordato che nei mesi precedenti all’attacco dell 11 settembre Kuala Lumpur fu la sede di uno degli incontri preparatori a New York e Washington che costarono la vita a tremila persone.

Dal canto suo il presidente Aquino ha descritto la morte di Osama Bin Laden come «una sconfitta significativa delle forze dell’estremismo e del terrorismo» e che rappresenta un atto di giustizia per le vittime del terrorismo, tra i quali molti filippini, del fatidico 11 settembre.

Di seguito facciamo notare un’intervista su Newsbreak.ph a Maria Ressa, autrice del libro «Seeds of Terror» del International Center for Political Violence and Terrorism Reasearch a Singapore.

D. Quale influenza avrà la morte di Osama Bin Laden su Jemaah Islamiyah (un network terroristico del sudest asiatico che ha reclamato la responsabilità di innumerevoli attacchi terroristici nella regione tra i quali le bombe all’isola di Bali del 2002 e legata ad Al Qaeda.)

R. Al Qaeda si è trasformata dall’essere un’organizzazione, un gruppo, ad un movimento sociale. Si sono espansi, ed ora più di ogni altra cosa è l’ideologia il vero nemico che rimane una minaccia fintantoché esiste una reale e percepita ingiustizia contro i musulmani.
Quello che AL Qaeda ha fatto, il virus che ha creato, sta spingendo i musulmani a lottare contro i loro governi e contro gli Stati Uniti, il loro nemico e il nemico lontano per creare alla fine un ostato islamico e infine un califfato.

D.Questa espansione ideologica si applica anche nelle Filippine?
R.Nelle Filippine, siamo più legati a questioni più economiche. I nostri estremisti sono piuttosto guidati dalla povertà che dalla ideologia. Si guardi agli attacchi a Basilan negli ultimi mesi. Qualche settimana fa ci fu un attacco ad un piccolo Ostello di Basilan. E’ una ritorsione al fatto che i militari erano al loro inseguimento. Ma è ancora lì. Lì si combinano l’economia con l’ideologia. Il MILF (Front di liberazione islamico moro) che era il gruppo centrale, un decennio fa, è stato buttato fuori dalla Jemaah Islamiya ma sono ancora lì. Non hanno la capacità di portare avanti attacchi in grande stile, ma possono continuare a portare avanti attività terroristiche come attacchi e bombe.

D. Così la morte di Osama Bin Laden non cambia granché? si mantiene lo status quo?

R. Quello che succede li può mandare ancora in collera. non hanno più un comando centralizzato. Così dipende dalle loro reazioni. Per esempio, se il corpo è profanato, se lo percepiscono come un altro attacco contro l’Islam, gli individui delle varie cellule possono pensare di attaccare. La morte di Osama è una vittoria morale ma esistono possibilità di rappresaglia. ma la cosa buona è che non esiste una centralizzazione

D. Ma il fatto che non ci sia un comando centrale non potrebbe essere come una lama a doppio taglio?

R. Certo. Se ci pensiamo, chi si inseguirà ora? Gruppi più piccoli, cellule possono restare non viste per molto tempo. Se su guarda ad Al Qaeda e i suoi gruppi associati, sono una combinazione di discendenze, di famiglia e di amici.
Molti dei nuovi reclutati negli USA vengono da Internet. Il tipo che progettò le bombe a Times Square del 2010 per esempio, è un pachistano americano con un master. Si è radicalizzato ed ha provato a contattare Ak Qaeda. I nuovi Jiadisti sono loro a contattare Al Qaeda non il contrario. E diventano radicali per come sentono per quello che provano.

Come tutto questo farà riformulare la strategia militare americana?
Vediamo una più grande enfasi ad allontanarsi dalla pura forza militare cinetica. Quello che fanno al sud, la chiamano influenzare il network ma è un’operazione di guerra psicologica.  Hanno gruppi che curano i problemi civili che vanno insieme ai gruppi militari. Quello che non hanno ancora piegato gli USA è la loro ideologia.

D. Chi rimpiazzerà Osama ora? E’ il turno dei braccio destro, come Ayman Al Zawahiri?
Lui è sempre lì ma se si guardano agli ultimi attacchi non erano iniziati dal comando centrale di  Al Qaeda, hanno perso la loro capacità di iniziare e finanziare. A Madrid, gruppi fatti in casa che lavorano con criminali; a Bombei un gruppo di cellule terroristiche Pakistane legate a Lashka e Toiba. La morte di Osama è probabilmente solo una vittoria, ma non cambia niente ma potrebbe persino  ingigantire la rabbia dei radicali.

INDONESIA: l’ estremismo islamico e la morte di Osama Bin Laden.

La morte di Osama Bin Laden per mano delle forze di sicurezza statunitensi in Pakistan ha cambiato un po’ l’ottica della sostenibilità delle sue diramazioni radicali di Al Qaeda, mentre gli analisti soppesano la forza delle connessioni tra il gruppo che Osama dirigeva e le tante piccole cellule che operano nel mondo.

Per alcuni analisti la morte di Bin Laden avrà poche ripercussioni in Indonesia, la nazione musulmana più popolosa. I fondamentalisti lottano per avere un buon punto di appoggio qui tra la forma sincretica di Islam qui praticato dalla maggioranza degli aderenti.

Altri credono che potrebbe portare ad atti di vendetta da parte di gruppi ultra-ortodossi galvanizzati dal suo martirio. Le percezioni confuse di minaccia non sono inusuali: in una nazione esaltata in modo particolare dall’occidente per la sua tolleranza religiosa e il recente avvicinamento alla democrazia, ci sono ancora frange radicali che, benché piccole, fanno la voce grossa, come evidenziato in vari attacchi terroristici di distruzione.

Il quattro di maggio il gruppo Fronte di difesa islamico, FPI, un gruppo ideologico di fanatici religiosi conosciuti per aver attaccato bar e locali a difesa della pietà islamica, ha tenuto una preghiera di massa per la morte di Bin Laden. In realtà l’assembramento mostrava la tendenza del FPI a risposte forti nella retorica ma deboli nell’azione.

Nel chiamare Bin Laden un eroe e martire, il gruppo radicale dubitava al contempo della sua morte. Il gruppo è stato di recente accusato di incitamento alla violenza settaria ma non è stato accusato di atti di terrorismo. Altri piccole manifestazioni tenute per vendicare la morte di Bin Laden portavano con sé simili deboli minacce di azione violenta.

La paura di molti analisti è che la morte di Bin Laden potrebbe dare una spinta al suo marchio, usato in Indonesia più come fonte di ispirazione che direzione operativa. “Se diventa un mito darebbe un sostegno ideologico a molti di questi gruppetti delocalizzati che, altrimenti, non avrebbero un comune obiettivo di manifestazione.” sostiene Evan Laksamana, un ricercatore del Center for strategici and International Studies. Non essendoci stato in passato oscillazioni in sostegno del leader di Alqaeda e della sua campagna per una Jihad violenta, la probabilità che ciò accada è bassa, ma come mostrano gli scorsi tentativi di decapitare la rete dei radicali in Indonesia, la dirigenza carismatica non è più il fattore più importante per tenerli insieme.

Sin dal 2001, Al Qaeda si è decentralizzata dividendosi in tanti movimenti regionali nella penisola arabica e nel sudest asiatico con dirigenze differenti. Mentre Bin Laden non era il suggeritore dei tanti gruppi che usavano il nome Al Qaeda, la sua morte è significativa poiché la sua icona è servita ad unire membri di gruppi estremisti vecchi e volatili.

Gli Stati Uniti hanno affermato, dopo l’assassinio di Bin Laden, che egli comandò da lontano le cellule del terrore in Somalia e Yemen dicendo che nel suo rifugio in Pakistan hanno scoperto materiale che attestava che stesse provando dichiarazioni, manifestazione evidente della sua attività in isolamento.

Non ci sono prove dirette che Bin Laden fosse direttamente responsabile di questi attacchi, pianificati o andati a male, in Indonesia. Sin dagli attacchi del 11 settembre negli Stati Uniti, la Jemaah Islamiyah (JI) legata ad Al Qaeda orchestrò alcuni dei più violenti attacchi del sudest asiatico comprese le bombe a Bali nel 2002 che uccisero 200 persone, essenzialmente turisti.

Nell’agosto del 2006, l’allora membro numero due di Al Qaeda, , Ayman al-Zawahiri, apparve in un video registrato in cui diceva che Al Qaeda e JI avevano unito le loro forze formando una linea unica per affrontare il proprio nemico. Qui il marchio di terrore di massa di Al Qaeda, che spesso causava qui la morte di musulmani innocenti, era in Indonesia già discutibilmente in declino prima della morte di Bin Laden.

La polizia indonesiana, lavorando con gli USA e l’Australia per creare una unità di intelligence contro il terrorismo conosciuta come Detachment 88, ha al suo attivo molti grossi colpi contro i comandanti di JI, compresa la cattura nel 2007 di Abu Dujana, comandante militare delle operazioni di JI, e l’assassinio del 2009 di un reclutatore e bombarolo di JI, Noordin Top.

Nel decennio passato la polizia ha arrestato più di 600 sospetti terroristi dei quali 500 sono andati sotto processo. Lo scorso mese una corte di Giacarta ha condannato a dieci anni di prigione il presunto terrorista di alto livello Abdullah Sonata per aver fornito armi ad un campo di addestramento di militanti ad Aceh.

Il capo spirituale di JI, il religioso Abu Bakar Bashir, è anche sotto processo per aver finanziato il campo. Il verdetto in questo caso, che potrebbe comportare la pena di morte, è prevista per metà di giugno. Alcuni credono che un verdetto di condanna rafforzerebbe le perdite significative che JI ha già patito.

Inoltre ci sono domande senza risposta su quanto siano forti i legami tra JI e Al Qaeda. Il sospettato principale delle bombe a Bali del 2002 della JI, Umar Patek, è stato arrestato ad Abbottabad in Pakistan, la stessa città dove è stato ucciso Bin Laden.

Il ministro della difesa, Purnomo Yusgiantoro, disse ai giornalisti la scorsa settimana che Patek sperava di incontrare Bin Laden, ma secondo gli ufficiali americani si trattava di una “mera coincidenza” che entrambi gli uomini si nascondessero lì.

Secondo gli analisti della sicurezza, Patek potrebbe dare informazioni importanto sui legami tra i gruppi del sudest asiatico come JI e la loro controparte pakistana. Come tanti Patek era un fuggiasco, ma la frequenza del suo contatto e la natura delle sue discussioni con Bin Laden rimane ambigua.

Ciò che è comunque chiaro è che i gruppi terroristici in Indonesia sono stati tagliati. “La violenza qui è iniziativa di piccoli gruppi, più diretta ad omicidi precisi che all’uso di bombe e più verso obiettivi locali che stranieri.” dice Sidney Jones del International Crisis Group che nel suo resoconto dello scorso mese dichiara che gli atti d’estremismo violento avvengono indipendentemente dalle grosse organizzazioni come JI.

Secondo Jones “Ci possono essere dei cambi internazionali che hanno un impatto sulla definizione di nemico e sulla scelta degli obiettivi anche in un posto di periferia come l’Indonesia…. La morte di Bin Laden potrebbe riportare l’obiettivo degli attacchi di nuovo verso l’occidente, almeno momentaneamente.”

Le immagini di tanti giovani americani che gioivano della morte di Bin Laden in televisione e i titoli del New York Daily del 2 maggio, “Vai all’inferno”, possono solo infiammare i sentimenti radicali. Ma per ora il potenziale per attacchi di vendetta sembra limitato dalla ridotta capacità e la disconnessione percepita dei gruppi estremistici musulmani.

Molti dei capi principali della JI combatterono con i mujahideen in Afganistan negli anni 80 ma i loro affiliati più giovani ricevono dalla vecchia guardia più incoraggiamento che addestramento. La JI avendo la propri capi detenuti o uccisi, si è dedicata più ad attività di reclutamento compreso i sermoni e le attività di informazione su internet, facendo sì che la risposta alla morte di Bin Laden è attesa più in forma retorica che in atti di violenza.

La Morte di Osama Bin Laden e i riflessi in Indonesia, di Sara Schonhardt

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