La regione vanta un boom economico, investimenti diretti e stabilità politica, ma manca della cooperazione necessaria a fronteggiare le turbolenze geopolitiche
25 anni fa il Sudest Asiatico era considerato un punto caldo di rischio globale politico ed economico.
Nel 1997 la regione fu l’epicentro di una devastante crisi finanziaria ed economica che innescò ondate di disordini e transizioni politici. Gli attentati di Al-Qaeda del 2001 a New York e Washington hanno poi generato attacchi terroristici da parte di estremisti islamici nelle Filippine e in Indonesia.
Ora gran parte del mondo attraversa tempi persino più difficili, ma il Sudest Asiatico vive un boom economico, gode di una stabilità politica senza precedenti e ad eccezione del Myanmar è in gran parte in pace.
Nel 2023 la crescita del PIL della regione è stata vicino al 5% e, mentre la Cina è presa da problemi economici e rischi geopolitici, la regione ha attratto quasi un quinto dell’investimento estero diretto che rende il Sudest Asiatico una delle regione del mondo a più rapida crescita.
Mentre si radunano i ministri degli esteri dell’ASEAN a Vientiane per il loro summit annuale, potrebbe sembrare appropriato celebrare la posizione di relativa forza della regione. Ma non si possono dare per scontate questa prosperità economica e la relativa stabilità in un mondo più incerto.
L’incertezza politica è stata di tradizione un rischio elevato per la regione dati i due golpe in Thailandia nel 2006 e il golpe nel Myanmar nel 2021.
Eppure, nonostante le critiche al modo in cui viene gestito il pluralismo democratico, in Indonesia, Malesia e Filippine le transizioni di leadership attraverso le urne sono avvenute con relativa facilità.
L’anno scorso, il veterano cambogiano Hun Sen trasferì le redini del potere al figlio Hun Manet. Anche le turbolenze all’interno del Partito Comunista del Vietnam non hanno portato a disordini o violenze politiche.
Questi storici livelli di stabilità hanno generato benefici impressionanti sul piano sociale ed economico. Mentre la pandemia spingeva 5 milioni di persone nella regione nell’estrema povertà nel 2021 e si persero quasi 10 milioni di posti di lavoro, la regione si è ripresa velocemente mentre i governi usavano una miscela saggia di politiche sanitarie sagge e sussidi economici.
The Economist indica che il sistema sanitario thai ha spinto l’aspettativa di vita media per la Thailandia più in alto che negli USA.
Non si vuole dire che non esistano rischi politici. Potrebbe esserci sempre un golpe in Thailandia; Hun Sen non sembra gradire di aver fatto un passo indietro in Cambogia, e l’Indonesia ha eletto un ex generale con idee centriste che potrebbero far indietreggiare il paese sul piano democratico dopo la caduta di Suharto nel 1998.
Tuttavia, il terzo decennio del XXI secolo vede il Sud-Est asiatico diventare un paradiso per gli investimenti e il turismo globali. Per molti versi, questo è in parte il risultato delle sfide che la Cina deve affrontare, dove l’economia è in crisi a causa del calo della domanda dei consumatori e delle barriere all’importazione e agli investimenti imposte dall’Occidente.
Tuttavia anche se la regione attrae persone ed investimenti, restano i rischi di sicurezza e potrebbero essere infatti più preoccupanti di due decenni prima. Infatti quello che il Sudest Asiatico fa peggio di sempre è cooperare su questioni di sicurezza regionale critiche. La risposta collettiva al golpe in Myanmar è stata incredibilmente debole e disgiunta.
Cina e USA sono riusciti a calpestare la regione con livelli di presenza militare sempre crescenti facendo sorgere l’allarme su un loro possibile scontro nel Mare Cinese Meridionale.
Probabilmente la robustezza economica e le certezze politiche della maggioranza dei paesi ASEAN hanno ridotto i livelli di cooperazione regionale efficace.
I capi di stato della regione passano meno tempo per incontrarsi tra loro per poter concentrarsi sulle questioni nazionali che hanno un impatto sui sondaggi; le relazioni personali strette di un tempo dei capi di stato di lungo corso non sono più comuni nei paesi che cambiano regolarmente governo.
Venti anni fa le cose erano differenti. ASEAN era più centrale e importante nei calcoli diplomatici regionali e di sicurezza. Tutte le grandi potenze cercavano summit di alto livello con i capi dell’ASEAN; c’erano statisti di esperienza e una rete di ministri e intellettuali che si radunavano regolarmente per esaminare le criticità della regione.
Oggi sono scomparse queste discussioni mentre le grandi potenze trattano direttamente con i singoli stati membri. Lo scorso anno gli Stati Uniti hanno elevato i legami con il Vietnam a partnership strategica globale e hanno rafforzato un accordo di base militare con le Filippine.
Da parte loro le Filippine sentono che l’intrusione della Cina nelle proprie acque territoriali è ignorata dagli altri stati membri. Thailandia e Malesia si dibattono per cementare una cooperazione economica maggiore per gestire la loro frontiera colpita dal conflitto.
E poi c’è il Myanmar dove la frammentazione del paese pone rischi di sicurezza agli stati confinanti, e tuttavia non c’è semplicemente consenso su come gestire la situazione dal momento che produzione di droga, crimine transnazionale e migrazioni di massa minacciano l’intera regione.
Chi si consola del fatto che i conflitti più grandi in Eurasia e in Medio Oriente sono lontani, non dovrebbe sottovalutare l’effetto a catena dell’escalation delle turbolenze geopolitiche. Un Sud-Est asiatico meno coeso è incline al divide et impera.
La Russia e la Cina stanno cercando di allontanare gli Stati del Sud-Est asiatico da relazioni più strette con l’Occidente. Gli Stati Uniti, nel frattempo, hanno usato la loro alleanza militare con le Filippine come copertura per aumentare il dispiegamento di armi più potenti vicino a Taiwan.
Quasi 70 anni fa, gran parte del Sudest Asiatico era indipendente da poco e determinato a sostenere un ordine globale migliore basato sulle regole. L’Indonesia ospitò la conferenza Asia Africa di Bandung e dichiarò un fronte unito contro le minacce dell’imperialismo.
Oggi le minacce globali alla sicurezza e quindi all’autodeterminazione sono ancora di nuovo chiare. Ma ci sono pochi segni che lo spirito unitario di Bandung possa essere resuscitato nel sudest asiatico proprio in un momento in cui ce n’é un disperato bisogno.
Michael Vatikiotis, Asiatimes.com