Benché le controversie nel mare cinese meridionale e Orientale non abbiano ancora condotto ad una guerra, hanno il potere di attizzare nazionalismi in competizione e allineamenti strategici che possono avere conseguenze preoccupanti per la pace.
Eppure presentano un’opportunità di costruire un ordine giocato sulle regole radicato nei principi e guidati da un regime di gestione efficace e da un meccanismo di risoluzione della controversia.
Le controversie nel Mare Cinese Meridionale sono state sempre percepite come un problema di sicurezza nazionale e regionale. Benché siano caratterizzate da scoppi episodici, queste controversie non hanno però comportato uno scoppio di guerra e, per esse stesse, gli stati non le considerano tanto serie da intraprendere una guerra, il cui costo politico, diplomatico e militare nell’era contemporanea è molto alto.
Queste considerazioni hanno impedito la guerra in conflitti anche più acuti come quello dello Stretto di Taiwan e sulla Penisola Coreana. Tensioni occasionali e scontri militari per questioni marittime sono state la regola negli ultimi tre decenni ed è così che continuerà, anche se restano una fonte di insicurezza nella regione specialmente per i paesi più piccoli della contesa.
L’importanza strategica delle dispute è stata sollevata dal fatto che la Cina in espansione è uno degli stati coinvolti che reclama quasi 80% del Mare Cinese Meridionale con la mappa delle nove linee a forma di U. L’attitudine e il comportamento di Pechino in relazione alle controversie viene sempre più visto come una misura di quanto forte la Cina possa diventare nel futuro.
Tali percezioni, insieme alla retorica e alle azioni cinesi, hanno il potenziale di alimentare sentimenti anticinesi e nazionalismi in competizione, di rinforzare antagonismi storici, e di influenzare gli allineamenti strategici nella regione. Le nazioni più piccole potrebbero rivolgersi a quelle più potenti come gli USA per controllare e respingere la presenza cinese. Benché sia improbabile che gli USA si facciano invischiare in queste controversie, la strategia americana di “Perno nell’Asia”, insieme alle affermazioni della Clinton ad Hanoi del 2010, sono state largamente interpretate in quel contesto.
Se si formano degli allineamenti strategici in competizione, renderanno la politica della potenza più forte nella regione di sicurezza dell’ASEAN lavorando contro un ordine basato sulle regole centrate sull’ASEAN in Asia. Ci saranno le regole ma sarà la potenza più che i principi a disegnare l’ordine. Le controversie potrebbero minare l’istituzione ASEAN, il suo ruolo nella pace e nella sicurezza. Il fallimento dell’incontro dei Ministri degli Esteri a Phnom Penh di emettere una dichiarazione congiunta è percepita largamente come un contraccolpo per l’ASEAN, il cui danno è stato mitigato ma non riparato per intero dalle successive dichiarazioni di principio.
Nel cercare di mantenere le rispettive rivendicazioni, le strategie delle nazioni hanno messo in risalto il controllo fisico, politico, amministrativo ed economico delle isole in questione come anche la deterrenza politica, diplomatica e militare. Alcuni cercano di espandere la loro presenza fisica. L strategie adottate dai paesi dell’ASEAN includono il relegare il problema alle future generazioni, lasciandolo irrisolto e accomodando i reclamanti rivali specialmente la Cina.
A livello regionale ASEAN è stata attenta a gestire le controversie. La dichiarazione del 2002 Cina ASEAN sul mare Cinese Meridionale e lo sforzo continuo di formulare un codice di condotta sono strumenti chiave in quello sforzo. Queste strategie nazionali e regionali potrebbero sembrare pragmatiche e servire interessi a breve termine. Lasciano comunque aperta la possibilità di tensioni periodiche e scontri militari con il loro potenziale per conseguenze preoccupanti.
Anticiparle è importante per sistemare la controversia. ASEAN dovrebbe cominciare a vedere le controversie come problemi da gestire ma anche come un’opportunità per rafforzare la pace e la sicurezza nella regione e un metodo di costruire un ordine basato sulle regole radicato nei principi. Quindi dovrebbe attivarsi non solo nel gestire le controversie ma anche nell’appianarle. Gli interessi di più lungo termine di tutti i paesi, sicurezza nazionale, prosperità economica, stabilità domestica ed internazionale, e dell’ASEAN come istituzione in termini di coesione, ruolo e capacità, sono meglio soddisfatti da un accordo sulla disputa che rafforzerebbe la costruzione di un ordine basato sulle regole in ASIA.
Dimostrerà inoltre volontà e capacità da parte delle nazioni asiatiche di risolvere il problema che colpisce così tante di loro. La risoluzione pacifica non è solo nell’interesse dei piccoli paesi ma anche un interesse strategico della Cina. E’ un’opportunità per Pechino di dimostrare il suo ruolo costruttivo ed assicurare che si comporta secondo principi e regole che difende, sovranità, uguaglianza e giustizia e accordo pacifico delle controversie.
La risoluzione eviterebbe o diluirebbe gli allineamenti strategici che Pechino definisce politica della “guerra fredda”. La presenza cinese continuata sporcherà la sua immagine regionale e globale e contribuirà alla politica della potenza che cerca di evitare. Sarà anche irritante in modo persistente nelle relazioni di Pechino con il sudest asiatico. Con accordi pendenti è giusto e doveroso per tutti il non elevare le controversie a livello di sicurezza nazionale fondamentale che complicheranno ulteriormente l’accordo. E’ anche importante per le nazioni dell’ASEAN nella disputa di evitare allineamenti strategici che alimenterebbero politiche di potenza competitive nella regione.
Un negoziato bilaterale per fissare queste divergenze è un non inizio. Tranne che per la controversia del Banco di Scarborough, tutte le altre controversie nel mare cinese meridionale sono multilaterali. Chi decide chi ha ragione nel conflitto? Persino nel caso di dispute multilaterali i negoziati non faranno passi in avanti nel contesto di posizioni indurite e mancanza di volontà al compromesso. Analogamente, a causa di tormentate considerazioni sulla sovranità, anche i dialoghi di lungo tempo per progetti di sviluppo congiunto non hanno fatto passi in avanti.
Tutte le dispute territoriali nel mare cinese meridionale dovrebbero sistemarsi riferendole ad un’agenzia regionale o internazionale con poteri di aggiudicazione o di arbitrato affinché nessuno unilateralmente rinunci o comprometta la propria posizione e perché nessuno comprometta il diritto sovrano a prendere una decisione nazionale. Un tale accomodamento dimostrerà il rispetto per il governo della legge e la maturità delle nazioni asiatiche, risolvendo un’istanza spinosa e rafforzando la pace, sicurezza ed ordine nella regione. E’ cosa cruciale che tutti i paesi, compreso la Cina, bilanciano i propri interessi nazionali di bottega con quelli più vasti e con il bene regionale comune. L’armonizzazione dell’interesse comune con il bene pubblico più vasto è una condizione sine qua non per le potenze maggiori responsabili e nella costruzione di un ordine regionale in salute.
Il riferimento ad un corpo internazionale ha dei precedenti nella regione, con Singapore, Malesia, Indonesia, Thailandia e Cambogia che si sono appellati alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) a cui sembra voglia appellarsi il Giappone nella sua controversia con la Corea del Sud. Ed il riferirsi ad un corpo internazionale non sarà facile o privo di problemi. Le grandi potenze di solito si oppongono all’arbitrato internazionale credendo che limitino la loro potenza e la loro influenza. Al contrario, la sottomissione all’arbitrato internazionale ha il potenziale di accrescere il potere morale di uno stato e la sua influenza, legittimando il suo ruolo internazionale. L’autorità morale è superiore alla forza bruta.
Le posizioni di alcuni stati che non accettano l’arbitrato internazionale, gli sviluppi interni cinesi e la critica interna lanciata contro l’Indonesia per aver portato le dispute delle isole Sipadan e Ligitan alla ICJ potrebbero essere citati contro l’idea di portare le dispute del Mare cinese meridionale ad un corpo internazionale. Ma queste considerazioni sulla tattica e sul tempismo non dovrebbero intralciare l’idea che ci vuole del realismo combinato con dell’idealismo.
Il riferirsi ad un corpo internazionale per sistemare una controversia richiede un lavoro considerevolmente innovativo e concertato da tutti i reclamanti, specie l’ASEAN come istituzione. La composizione della corte, i termini di riferimento, preparare le posizioni nazionali dovrebbero essere fatte in un arco temporale specifico. Ancor più importante le nazioni della disputa devono preparare il loro corpo politico ad accettare il verdetto.
L’ASEAN ha un ruolo straordinario. Ha gli attributi di autorità morale, potere di persuasione e influenza, oltre ad un potere che non appartiene alla singola nazione. ASEAN dovrebbe aprire la strada nell’esplorare e metter sul tavolo l’idea di trasformare il problema in una opportunità. Benché difficile, la perseveranza nella gestione e la risoluzione delle dispute restaureranno la credibilità dell’ASEAN.
By Dato’ Muthiah Alagappa Ph.D