Sono tornato da Rangoon la scorsa settimana dopo aver tenuto un incontro di formazione per giovani politici di tutta l’Asia, tra i quali figuravano politici birmani e tra essi molti giovani. La mia conferenza era sui partiti politici in Asia e il processo di democratizzazione.
La mia ultima visita in Birmania risaliva alla fine del 2011 ed il paese, dopo le elezioni del 2010 è cambiata enormemente. I successivi sviluppi positivi, come il rilascio del capo dell’NLD ed icona democratica birmana Aung San Suu Kyi ed una serie di riforme politiche, hanno trasformato con rapidità la Birmania da un posto isolato della tirannia in una società democratica emergente.
Durante la fase di formazione, era chiara la voglia di imparare da parte di questi giovani politici quello che succedeva nel mondo esterno. Appartenevano a vari partiti politici birmani compreso il partito al potere USDP, Partito della solidarietà e dello sviluppo dell’Unione, ed il partito di opposizione e quelli etnici.
La Birmania si era afflosciata nella stagnazione in seguito alla dittatura militare del 1962, che ebbe termine solo quando la giunta capì che avevano bisogno di aprirsi al mondo se volevano mantenere ancora il potere. In questo contesto, “democrazia” è un concetto relativamente nuovo per alcuni dei giovani politici presenti, eccitati di discutere l’idea e dibatter sul ruolo della democrazia nelle rispettive nazioni.
Mentre i giovani dell’ USDP riaffermavano il loro impegno verso la democratizzazione, i rappresentanti dell’opposizione restavano preoccupati di alcune politiche del governo. Complessivamente il dibattito sembrava concentrato principalmente sulla velocità della riconciliazione tra governo ed opposizione, sulle riforme attuate che dovevano permetter più spazio per i critici del regime come pure il bisogno di far crescere la coscienza sulla protezione dei diriti umani.
Ma il problema fondamentale che si trova di fronte la Birmania attuale, vale a dire i conflitti senza fine tra governo e gruppi armati delle etnie, rischiava di essere oscurato da questo tipo di dibattito. Nelle ultime settimane, gli scontri fatali tra l’armata birmana, Tatmadaw e l’armata indipendente Kachin, non hanno minacciato solo le riforme birmane ma anche la pace nella regione.
Eppure molti analisti hanno interpretato male la situazione facendo ricorso al solito paradigma secondo cui la pace e la stabilità possono essere raggiunti solo se governo e Suu Kyi possono lavorare in armonia, sminuendo il ruolo delle minoranze etniche nel processo di democratizzazione.
Proprio su questo punto un giovane politico dello stato Rakhine, o Arakan come era conosciuto prima, ha fatto un discorso appassionato sulla possibilità che in governo non sia sincero nel coinvolgere le minoranze etniche nel processo di riforma politica.
Il troppo pubblicizzato conflitto tra governo e Lega Nazionale della Democrazia di Suu Kyi, che ha di gran lunga oscurato le istanze reali della partecipazione politica inadeguata delle minoranze, dimostra che il cambiamento politico in corso possa risultare nient’altro che una redistribuzione di potere tra le elite, di cui dopo tutto anche Aung San Suu Kyi fa parte.
In un dialogo privato con lo stesso giovane dello stato Rakhine supplicava che il mondo venisse a sapere delle vicissitudini di tanti Rohingya che sono stati costretti ad abbandonare leloro case in Birmania per trovare un ambiente in cui non fossero perseguitati. Dopo che fu strappata loro la cittadinanza dal dittatore Ne Win i Rohingya sono degli apolidi, non ricevendo per questa ragione alcuna assistenza sociale, finanziaria o protezione dallo stato. Il governo ha persino tollerato il conflitto etnico-religioso tra Buddisti Rakhine e Musulmani Rohingya, rifiutandosi di intervenire negli atroci attacchi che hanno visto la comunità Rohingya attaccata brutalmente con la distruzione delle loro abitazioni. In modo deludente persino Suu Kyi è restata silenziosa su questo problema.
Un incontro di formazione di questo genere sarebbe stato impossibile solo qualche anno fa, un segnale, forse, che il governo birmano ha dato il lasciapassare a questo genere di attività, dando degli spazi ai giovani birmani di differente estrazione politica per incontrarsi, mescolarsi e dibattere. Si spera che questo implichi che si introdurranno altre riforme per garantire la continuità dell’apertura politica.
Infatti lo stato d’animo in favore di un’apertura politica ha cominciato a dare nuove forme alle idee politiche nuove e alle culture tra i giovani politici birmani. Diventano più curiosi sul come rafforzare le istituzioni democratiche, come assicurare la trasparenza del processo politico, come far sì che il governo sia responsabile per le sue azioni e politiche e come invitare il popolo birmano ad una maggiore partecipazione nella politica.
E’ una curiosità che non è solo attenta al reame della politica interna della Birmania, ma volevano essere informati sui processi di democratizzazione nelle nazioni confinanti. In particolare erano interessati alla politica nazionale thailandese dimostrando con domande attente di avere un occhio attento alle vicende del loro vicino thailandese.
Come ha funzionato il processo di riconciliazione in Thailandia? Si è ritirato dalla politica l’esercito thailandese? Era solo Thaksin ad essere responsabile della crisi politica del paese? Perché la legge di lesa maestà è stata politicizzata? Qual’è la situazione dei prigionieri politici in Thailandia?
Sia le domande che le risposte sembravano avere la stessa importanza. Le imperfezioni proprie della Thailandia servivano ai giovani politici birmani per riaffermare che la riforma democratica è un processo difficile e che non ha mai fine.
The young and the ambitious By PAVIN CHACHAVALPONGPUNG