Sull’orlo di un precipizio secondo Thongchai Winichakul

Il Senato Thailandese, la sola camera legislativa funzionante del paese, ha indetto un incontro informale la scorsa settimana per deliberare sui modi per porre fine allo stallo politico di sei mesi in cui si trova il paese.

processo contro Yingluck Shinawatra

Il 7 maggio la corte costituzionale ha rimosso il primo ministro Yingluck e altri ministri del suo governo. Questo golpe giudiziario è stato seguito da una decisione da parte della Commissione Contro la Corruzione, NAAC, che incriminava Yingluck per non aver seguito il proprio dovere nel gestire il controverso programma del riso. Nonostante l’apparenza giudiziale, entrambi i giudizi sono stati portati avanti senza un processo legale vero e proprio.

Chiamano in questione la credibilità ed imparzialità del sistema giuridico thailandese agli occhi della maggioranza del popolo thailandese.

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I conservatori monarchici hanno fatto salti di gioia di fronte a questi giudizi. Ma la natura profondamente polarizzante di questi verdetti testimonia l’indebolimento del potere monarchico. Sia la corte costituzionale che la commissione contro la corruzione furono create nel 2007 da un governo che seguiva il golpe militare del 2006. La corte ha da allora cacciato tre governi eletti, dissolto numerosi partiti politici e annullato elezioni certificate come libere e eque. Il senato e la corte costituzionale hanno ripetutamente bloccato i tentativi dei parlamentari eletti di emendare la costituzione. La NAAC vuole ora unire le forze col senato per risolvere l’attuale stallo politico. Lo schema immutabile dei monarchici di usurpare il potere minando il governo della legge ora minaccia di degenerare in guerra civile.

L’attuale crisi in Thailandia cominciò lo scorso novembre quando i conservatori realisti a Bangkok cominciarono ad occupare le piazze pubbliche domandando la cacciata del governo democraticamente eletto di Yingluck. Oltre 25 persone sono state uccise e centinaia ferite durante le proteste di strada. La democrazia elettorale che un tempo stava fiorendo è ora sempre più accerchiato. Un possibile governo monarchico potrebbe tentare di legiferare contro il pubblico dissenso usando una combinazione di forza, paura e coercizione. Comunque mentre i militanti pro contro il governo si radunano per un’altra prova di forza, le proteste di strada andranno avanti oltre il loro controllo.

Nel frattempo la corte ed i militari monarchici continuano a dare impunità e rifugio ai manifestanti che usano violenza ed intimidazione come l’ostruzione delle elezioni anticipate di Febbraio che avrebbero posto termine alla tensione attuale. In aggiunta la corte ha riaffermato il potere del senato dei prescelti ed ha espanso il proprio potere al di là dei limiti costituzionali.

I conservatori monarchici che sono dietro le proteste antidemocratiche hanno perso tutte le elezioni sin dal 2000. La loro popolarità decresce come la loro legittimazione politica. Comunque continuano a dominare il sistema giudiziario, i militari, la burocrazia dello stato e le università.

La Thailandia si trova ad un incrocio pericoloso. Esaltati dalla cacciata del primo ministro i manifestanti in giubilo domandano a tutti settori dell’apparato dello stato di trasferire i poteri a loro. Il PDRC che rappresenta i manifestanti fa ora pressione sul Senato affinché sostituisca il governo facente funzione con una amministrazione eletta.

Il Senato stesso è un bastione dell’elite monarchica. Metà dei suoi membri non sono eletti ma selezionati dal sistema giudiziario e nominati dal Re. Hanno bisogno solo di un piccolo numero di membri eletti per formare una maggioranza. Lavorando strettamente col PDRC, la corte costituzionale, la commissione contro la corruzione e la commissione elettorale, il Senato tenta di creare un vuoto di potere licenziando l’intero governo. A questo scopo i membri del senato hanno condotto consultazioni informali nei giorni scorsi per porre fine alla crisi politica. L’incontro tra senatori eletti e i loro alleati fu boicottato dalla maggioranza dei senatori eletti sulla base che la sessione di consultazioni era illegale.

I monarchici vogliono che il Senato invii i propri nomi per la carica di primo ministro al Re perché li approvi. Il potere monarchico sa che questo processo non solo non è democratico ma anche illegale sotto la legge costituzionale che essi stessi aiutarono a creare. Si trovano di fronte una pressione pubblica crescente, una sfida legale pendente ed una petizione al Re affinché rigetti una nomina del senato a primo ministro. Ma nonostante i ruoli precedenti nel bloccare le elezioni e gli emendamenti costituzionali il senato resta il solo corpo funzionante per portare avanti questo piano. Frustrato dalla riluttanza del senato a selezionare un nuovo primo ministro, il capo del PDRC Suthep ha messo in guardia sulla possibilità che lui prenda in mano la faccenda.

Jatuporn Prompan, sostenitore del Puea Party e capo delle magliette rosse ha indicato che qualunque tentativo di rimpiazzare il governo facente funzione senza una elezione significherebbe lo scoppio della guerra civile. Ha invitato invece il governo facente funzione a indire un’elezione. Le elezioni generali sono previste per luglio ma il PDRC e la Commissione elettorale continuano ad ostruire il processo per dilazionare il voto. Nel frattempo mentre montano le tensioni dai due lati la situazione minaccia di andare fuori controllo.

La fiducia dei monarchici verso i militari o la paura della legge di lesa maestà, che proibisce di offendere la famiglia reale con pene che vanno fino a 15 anni di prigione, probabilmente daranno dei contraccolpi. Ci sono segni che già cominciano ad emergere. E’ cresciuto sui media sociali il risentimento contro i monarchici e la monarchia, mentre è cresciuto nei due anni scorsi alle stesse il numero dei casi di lesa maestà. I monarchici sperano che la nomina di un primo ministro nominato dal Re calmerebbe lo scontento. Ma così si validerebbe il credo generale che il palazzo sia dietro questo schema, mettendo così il futuro della monarchia in pericolo. In dalla fine degli anni 70 il carisma del Re è stato il fulcro della stabilità in Thailandia. Ma lo spingersi oltre dei monarchici ha messo in dubbio la legittimità stessa della monarchia. Non tanto tempo fa, era persino impensabile pensare alla fine della monarchia della Thailandia. Se giungesse ad una fine, da biasimare sarebbero solo i conservatori monarchici.

Un’elezione libera, equa e democratica è la sola via di uscita dall’attuale pandemonio politico. L’insistenza cocciuta dei monarchici nel voler trovare un capo “virtuoso”, un primo ministro nominato che loro approvino, esaspererà solo una situazione acuta. Il loro progetto anticostituzionale e fortemente impopolare va incontro ad una diffusa resistenza da parte delle magliette rosse. Perché possa avere successo i monarchici dovranno cacciare un gran numero di capi delle magliette rosse con un potenziale scontro di vasta scala.

Data l’importanza strategica limitata della Thailandia, la comunità internazionale è stata finora silente. Ma violenza e un percorso antidemocratico per il paese potrebbe avere effetti di ripercussione nella regione. Il segretario dell’ONU, gli USA e altri paesi hanno di recente invitato tutti quanti ad osservare una transizione pacifica e democratica. L’ONU e le altre nazioni della regione devono continuare ad insister sul ritorno alla democrazia elettorale.

Thongchai WINICHAKUL AljazeeraAmerica

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