Il 2 aprile scorso il presidente americano Trump ha svelato un insieme vasto di dazi contro oltre 180 paesi, mentre il Vietnam si trova di fronte a tariffe del 46% sulle proprie esportazioni negli USA a partire dal 9 aprile.
L’annuncio si basa su una tariffa di base applicata sulla maggioranza dei partner commerciali a partire dal 5 aprile con aliquote reciproche aggiuntive per i Paesi con eccedenze commerciali significative.

Per il Vietnam, queste tariffe del 46% – tra le più alte imposte – si applicano a tutte le merci che entrano negli Stati Uniti, un mercato che ha assorbito 142 miliardi di dollari di esportazioni vietnamite nel 2024, secondo le statistiche statunitensi.
Questa tariffa è uno shock per il Vietnam ma Hanoi probabilmente si affiderà alla diplomazia. Per una volta il governo vietnamita aveva nutrito un cauto ottimismo sullo schivare il peggio delle politiche commerciali di Trump. Hanoi aveva assunto che il suo impegno proattivo con l’amministrazione Trump avrebbe attutito il colpo.
Per esempio, durante la sua visita del mese scorso a Washington il Ministro dell’Industria e del Commercio Nguyen Hong Dien aveva sottoscritto accordi con imprese americane per il valore di 4,15 miliardi di dollari.
Tra questi accordi c’è l’acquisto di Gas naturale Liquefatto da Excelerate Energy and Conoco Phillips che fanno parte di un pacco commerciale più vasto per il 2025-2030 da 90 miliardi di dollari.
La rapida chiamata che il segretario generale del Partito Comunista Vietnamita To Lam ha fatto per congratularsi con Trump ha sottolineato ulteriormente fino a che punto si spinge diplomaticamente Hanoi.
Questi sforzi, insieme al taglio delle tariffe del Vietnam su vari prodotti americani annunciato il 31 marzo, sono stati visti come azioni preventive per allinearsi con le richieste di Trump di un commercio bilanciato.
Lo stesso valore di tariffe del 46% confonde i leader vietnamiti in particolare anche per l’affermazione della amministrazione Trump che questa cifra rifletterebbe una tariffa presunta del 90% che il Vietnam impone sui prodotti americani, tariffa citata dagli USA a giustificazione per la reciprocità.
La tariffa media del Vietnam applicata secondo i dati del WTO, si aggirano sul 9,4% con medie ponderate per il commercio ancora più basse, pari al 5,1%. Anche tenendo conto delle imposte sul valore aggiunto (IVA) del 10%, che Trump ha criticato come barriere commerciali nascoste, il calcolo del 90% manca di un fondamento chiaro.
L’opacità della metodologia del team di Trump, con il Segretario al Tesoro Scott Bessent che ha vagamente osservato che il tasso di ogni Paese “rappresenta le loro tariffe”, non fa che aumentare la confusione e la frustrazione di Hanoi.
Due ragioni fondamentali sostengono probabilmente queste tariffe esose.
Per prima cosa, prende di mira il surplus commerciale di 123 miliardi di dollari con gli USA nel 2024, surplus cresciuto del 18,1% sul 2023.
Trump lo ha sempre denunciato come prova di pratiche commerciali “ingiuste”. Le dichiarazioni della Casa Bianca sottolineano che questi surplus erodono la manifattura americana e la sicurezza nazionale.
Inoltre la Casa Bianca afferma, nei suoi dati sulle nuove tariffe, che il Vietnam è uno dei paesi che “restringe o proibisce l’importazione di beni rigenerati restringendo l’accesso del mercato per gli esportatori americani mentre scoraggia gli sforzi per promuovere la sostenibilità scoraggiando il commercio e prodotti a basso consumo di risorse”.
Si stima che se queste barriere fossero rimosse le esportazioni USA in Vietnam e questi paesi aumenterebbero di almeno 18 miliardi l’anno.
Seconda cosa, Washington mira a impedire che i beni cinesi siano instradati attraverso il Vietnam per evadere alle tariffe sulla Cina che ora sono al 54% incluse le precedenti tariffe.
Rapporti di Nikkei Asia dicono che rappresentanti importanti della Casa Bianca hanno accusato in particolare Vietnam e Cambogia di fare da centri di trasbordo per fare evadere le tariffe americane alla Cina.
Un rappresentante affermava che la Cambogia esporta negli USA 39 dollari per ogni dollaro importato in gran parte per il fatto di essere un punto di instradamento fondamentale della Cina.
Il Vietnam ricade nella stessa categoria, mentre i rappresentanti sostengono che le strutture che sembrano impianti di manifattura sono depositi dove le merci cinesi vengono rietichettate come vietnamite prima di essere inviate negli USA.
Le alte tariffe del 46% imposte al Vietnam si possono vedere perciò come un mezzo di pressione americana sul Vietnam perché faccia qualcosa di forte per impedire questa frode.
Queste esose tariffe se prolungate colpiranno l’economia vietnamita guidata dalle esportazioni.
Gli esportatori dell’elettronica e dei tessuti rischiano margini di profitto risicati o di perdere quote di mercato negli USA a minacciare l’obiettivo di crescita del PIL vietnamita del 8% per il 2025.
Le reazioni a catena potrebbero fermare l’espansione industriale e la creazione di posti di lavoro che sono i pilastri della ripresa vietnamita post pandemia.
Gli investitori delle multinazionali, attirati al Vietnam come alternativa manifatturiera alla Cina, potrebbero riconsiderare le proprie decisioni, stanchi dei costi più alti e dell’instabilità commerciale. Ciò minerebbe il fascino del Vietnam come un centro di investimenti nei riallineamenti della catena di fornitura globale.
Nonostante lo shock la risposta del Vietnam eviterà probabilmente lo scontro. Le esportazioni dirette americane in Vietnam del valore di 12 miliardi di dollari nel 2024 sono modeste. Ciò limita la leva di Hanoi su tariffe di risposta.
Il Vietnam invece si affiderà alla diplomazia per persuadere il presidente Trump a modificare le proprie decisioni tra cui quella di comprare più beni americani, di facilitare ulteriormente gli investimenti, di accelerare la cooperazione su questioni di interesse americani come i minerali critici e affrontare in modo attivo la questione del reinstradamento delle merci cinesi.
Proverà anche a diversificare i propri mercati di esportazione per ridurre la propria dipendenza dagli USA negoziando nuovi trattati di libero commercio e per utilizzare meglio quelli attuali.
Queste tariffe non depongono bene non solo per il Vietnam ma per il commercio globale e i consumatori USA.
I costi maggiori per beni vietnamiti, da smartphone e abbigliamento, colpiranno il portafoglio dei americani alimentando potenzialmente l’inflazione che la US Federal Reserve già vede al rialzo.
Lo scombussolamento delle catene di fornitura potrebbero accendere un maggior rallentamento economico mentre la Goldman Sacks pone un rischio di recessione per gli USA del 35%.
L’obiettivo di Trump di tagliare i deficit commerciali potrebbe vacillare dal momento che i dati storici della sua prima presidenza mostrano che le tariffe ridirigono solo il flusso del commercio.
Questo accrebbe le importazioni USA da Messico e Vietnam senza contrarre il gap complessivo.
Sul piano politico, ciò potrebbe ritorcersi contro alienando gli elettori USA se i prezzi cresceranno e i posti di lavoro non si materializzeranno.
Il Vietnam farà di tutto per agevolare le preoccupazioni di Trump ma il successo dipenderà se tornerà la razionalità nella politica commerciale americana. Per ora il Vietnam avrà bisogno di prepararsi per il percorso turbolento che l’attende.
Le Hong Hiep, Fulcrum.sg