Il 6 ottobre del 1976 è una data fondamentale della Thailandia moderna.
Quel giorno le forze armate thailandesi, appoggiate da gruppi paramilitari di estrema destra, decisero di reprimere nel sangue un clima sociale più aperto e libero che si andava creando nel paese a partire dal 13 ottobre 1973, quando grandi manifestazioni popolari mandano in esilio il dittatore Thanom Kittikachorn e danno inizio ad un governo democratico.
Più importante ancora è il clima che si respirava con studenti, artisti, attivisti e altri gruppi andavano in giro per tutta la nazione a promuovere i diritti dei lavoratori e l’organizzazione dei contadini. La stessa figura reale era pesantemente sotto accusa, mentre anche la letteratura cominciava a mettere al centro i temi del lavoro e della donna.
Mentre la Thailandia era un paese al momento stabile, nel resto dei paesi vicini c’era lo scombussolamento totale. Nel vicino Vietnam finiva la guerra con l’occupazione di Saigon nel 1975, la Cambogia vedeva la salita al potere dei Khmer rossi e l’inizio dei campi di sterminio, nel Laos andava al potere la guerriglia del Pathet Lao. La paura della diffusione del comunismo portava alla paura che anche nelle campagne povere la popolazione potesse essere attratta dal comunismo e dare forza al partito comunista thailandese che in quelle campagne aveva i suoi punti di forza.
Contro questo fiorire di libertà, le forze della destra fecero una campagna di forte odio, associando la sinistra e chiunque si batteva per quei temi ai gruppi etnici non thai presenti, il cui scopo era di abbattere la monarchia ed instaurare un governo comunista. Un monaco buddista arrivò a dire che uccidere un comunista non fosse un peccato ma un merito, in quanto liberava la società dalla sofferenza.
Il 6 di ottobre del 1976 gli studenti avevano indetto una manifestazione per protestare contro il ritorno del dittatore Thanom dall’esilio e si erano radunati la notte prima all’interno della Università di Thammasat. Nel pieno della notte l’esercito e i grupii paramilitare chiudono le uscite dall’università. Il lancio di alcune granate segna l’inizio dell’assalto e del massacro di cui si stanno ancora contando i morti e gli scomparsi. Furono usate armi da guerra, molte ragazze violentate, molte persone vive ma prive di coscienza furono bruciate vive, altre furono denudate e costrette a strisciare e aspettare di essere trasportati dai mezzi dell’esercito o della polizia. In modo selvaggio, i corpi dei morti erano mutilati di fronte alla folla, o appesi agli alberi per essere percossi in tutti i modi. Rappresentavano quegli studenti tutto il male possibile per la Thailandia: marxisti, antibuddisti, di origini cinesi o vietnamita, opposti alla monarchia.
Chi sfuggì al massacro trovò rifugio nella giungla e si unì, anche se per poco tempo, alla guerriglia comunista, oppure fuggì dalla nazione. Il massacro, conosciuto in Thailandia con Hok Tulaa, è rimasto nascosto per tanti anni dai media, dai libri di storia e dai giornali thailandesi, qualcosa di cui non si può parlare, e le atrocità commesse sono rimaste per decenni un tabu.
Ultimamente il giornale online Prachatai ha pubblicato nuove foto del massacro, prese da un giovane di un istituto professionale del tempo. Qui di seguito è presentato un video apparso di recente di Youtube. Sembra che piano piano un pesante sarcofago è stato rimosso.