Il conflitto nel Meridione Thailandese è un’insorgenza in atto che si concentra in aree storicamente conosciute come Patani, una regione che comprende le tre province più meridionali della Thailandia oltre a quattro distretti della vicina Songkla.
Circa 80% della sua popolazione di quasi 1,8 milioni di persone è musulmana, a prevalenza sunnita, che parla una varietà locale del Malay e che si identifica come nayu, o melayu, malay.
L’antico sultanato di Patani nel 1909 fu incorporato soltanto formalmente nel Siam (ora Thailandia), dopo il trattato firmato con l’impero Inglese. Nel XX secolo la Thailandia a maggioranza buddista assimilò con successo vari altri territori in una identità condivisa “Thai”, ma Patani è restata il luogo di una resistenza di lunga durata ed intermittente contro il governo di Bangkok.
I gruppi separatisti malay lanciarono una campagna di violenze contro lo stato thailandese negli anni 60 e 70, che fu in gran parte sospesa attraverso un patto di elite negli anni 80. Comunque la violenza cominciò di nuovo dopo l’arrivo del governo di Thaksin Shinawatra nel 2001, ed eruppe chiaramente nel gennaio 2004. Sin da allora più di 5500 persone sono morte in una delle insorgenze più intense al mondo.
La regione di confine meridionale è stata fortemente militarizzata con l’invio verso il meridione di molte truppe dalle altre parti del paese, localizzate spesso sul terreno dei tempi buddisti. Sono state create altre truppe paramilitari, i rangers, mentre i volontari locali di difesa sono stati addestrati a fare la guardia dei villaggi e in altri luoghi chiave. Gran parte dei buddisti nella regione sono stati addestrati a sparare da istruttori militari, in base ad un ordine della Regina, e molti rappresentanti del governo e civili portano armi.
Rappresentanti del governo e quelli che lavorano nel settore dello stato, come lavoratori del settore elettrico, sono molto nervosi quando si tratta di viaggiare in aree rurali e richiedono agli abitanti delle campagne, ogni volta che è possibile, di andare dai loro uffici quando hanno bisogno di accedere ad un servizio. L’iscrizione di musulmani nelle scuole statali secondarie è in gran parte crollato, dal momento che i genitori hanno spostato i propri figli verso le fiorenti scuole islamiche private. I servizi sanitari rurali sono stati meno colpiti dalla violenza dell’insorgenza, ed ospedali e cliniche continuano ad operare meglio delle altre agenzie dello stato sebbene con una mancanza di personale qualificato.
Eppure per tanta gente nella regione la vita è relativamente normale: il conflitto del meridione thailandese è un conflitto a bassa intensità che si combatte su un’area vasta, e la possibilità di trovarsi in mezzo in un dato giorno sono remote.
Allo stesso tempo questa “normalità” include: incontrare la presenza delle forze di sicurezza regolarmente ai posti di blocco; scorte armate per i docenti che vanno e vengono dal lavoro e per monaci che fanno la questua; e stretto monitoraggio dei capi musulmani e delle istituzioni della scuola da parte delle forze di sicurezza. Mentre la fiducia e la reciprocità tra le differenti comunità religiose non sono state completamente distrutte, ci sono ora meno interazioni e scambi di prima specialmente nelle aree di campagna.
Mentre il conflitto come detto sopra è ben circoscritto, ci sono stati un piccolo numero di attacchi nella città vicina di Hat Yai tra i quali uno presso l’aeroporto. I thailandesi nel resto del paese non sono stati toccati dalla violenza, e Bangkok si trova a quasi 1000 chilometri dal conflitto. La gran parte del paese resta relativamente indifferente a quello che accade nonostante il gran numero di morti.
Quando è iniziato e perché?
Il salto violento del dopo 2004 è semplicemente l’ultima ondata di un conflitto di lungo corso nella regione. Siam fu il solo paese della regione a non essere formalmente colonizzato dai paesi europei con la funzione di zona cuscinetto tra gli interessi francesi ed inglesi nella regione.
Durante il fine XIX ed inizio XX secolo, l’elite al potere mise su uno stato nazione moderno definendo precisamente le precedenti frontiere piuttosto confuse. Le aree che avevano precedentemente pagato omaggio alquanto lasco ai monarchi siamesi furono con la forza incorporati in uno stato centralizzato e soggetto al governo di retto di Bangkok.
Questo processo di assimilazione ebbe un relativo successo in gran parte del paese, ma in modo incompleto a Patani.
Il dogma “Nazione, religione, Re” non fu ben ricevuto in una regione dove gran parte della popolazione restava fortemente attaccata ad una identità nazionale più antica come stato malay, che praticava la religione “sbagliata”, Islam e non il buddismo, ed era esistita per molti secoli con sultani locali piuttosto che re che vivevano a Bangkok. I Thailandesi usarono approcci alternati da carota e bastone, attraendo ed obbligando i musulmani malay nel profondo meridione a diventare più thailandesi.
Il Conflitto 1980-2000
Dopo una fase violenta negli anni 60 e 70, il governo di Prem Tinsulanond fece un accordo agli inizi del 1980 che portò alla resa dei militanti più attivi; diede nuove opportunità ai malay musulmani di entrare nella politica, anche come parlamentari o ministri, e creò incentivi finanziari per i gestori delle scuole islamiche per offrire il curriculum delle scuole superiori thailandesi insieme alla tradizionale istruzione religiosa.
Fu stabilita un’agenzia speciale SBPAC per dispensare il patronato statale all’elite musulmana malay. Per costruire legami forti verso le comunità locali e mantenere la pace e l’ordine.
Il Conflitto 2001 – 2003
Il controverso ufficiale di polizia trasformatosi in imprenditore facoltoso, Thaksin Shinawatra, divenne primo ministro nel 2001 dopo aver vinto in maniera totale le elezioni. Presuntuoso e arrogante, con poca affinità per le sensibilità locali, portò un nuovo approccio alla gestione del Meridione. Thaksin cominciò velocemente a smantellare le strutture della sicurezza esistenti, per lo più nelle mani della Quarta Armata con legami stretti con i suoi oppositori politici, ed abolì lo SBPAC di cui anche lui si fidava affatto. Thaksin pensava in modo errato che il sentimento anti Thailandese della regione fosse semplicemente svanito e che gli incidenti occasionalmente violenti fossero da attribuire a conflitti personali tra le elite locali e rappresentanti del governo.
Sfortunatamente proprio quando Thaksin smantellò la capacità di sicurezza di Bangkok nella regione, si stava raggruppando una nuova generazione di militanti che riteneva che i loro capi si erano venduti agli incentivi finanziari e di altro tipo e che pianificava una nuova offensiva violenta, facendo uso di una rete di basso profilo di giovani ben addestrati. Questi si dedicarono all’inizio più sui traditori musulmani e sui collaboratori, munafik, che sugli obiettivi dello stato thailandese.
Il Conflitto dal 2004 ad ora.
La combinazione di brutalità pesante di Thaksin insieme alla violenza senza scrupoli del redivivo separatismo ebbe risultati esplosivi durante il 2004.
Tre grandi scontri simboleggiarono la violenza che risorgeva. Il 4 gennaio 2004 i militanti lanciarono un attacco ad un campo militare a Narathiwat, sconfiggendo con facilità i soldati thailandesi, uccidendone quattro e sequestrando grandi quantità di armi.
Il 28 aprile 2004 furono ammazzate 111 persone, la maggioranza dei quali militanti che avevano presumibilmente attaccato decine di punti di sicurezza. 32 militanti furono uccisi quando i militari attaccarono la storica moschea di Kru Ze, il sito musulmano più riverito, dove si erano rifugiati deliberatamente.
L’attacco a Kru Se causò una rabbia tra i musulmani malay e dimostrò essere il punto di svolta del conflitto.
Un altro grave incidente accadde il 25 ottobre 2004 quando oltre un migliaio di Malay musulmani furono arrestati in seguito ad una manifestazione pacifica a Tak Bai, Narathiwat.
Sette persone furono sparate sul posto, mentre altre 78 morirono soffocate mentre erano trasportate ad una base dell’esercito nei camion militari. Tak Bai resta un giorno infame per i musulmani malay a simbolo di una repressione di cui sono capaci i militari thailandesi, ed anche di una cultura di impunità del paese: nessuno dei responsabili è stato mai imputato per questo.
Lo stesso Thaksin era sul posto quel giorno e dichiarò di aver assunto il comando personale dell’operazione, qualcosa che ha dopo negato.
Le condizioni che resero Patani pronta per una nuova violenza all’inizio del 2000 erano per lo più politiche. La Thailandia aveva mancato ripetutamente di decentralizzare il potere alle regioni. Delle 77 province del paese solo una ottiene la possibilità di eleggere il proprio governatore, Bangkok, mentre alle altre 76 province sono nominati ufficiali di carriera dal ministero dell’interno, inviati da Bangkok verso tutto il resto del paese.
Questo modello coloniale interno all’inizio del XXI secolo era singolarmente inappropriato per gestire minoranze etniche e religiose concentrate geograficamente. I musulmani malay in Thailandia costituiscono il 2% della popolazione totale, quella decina o poco più di parlamentari eletti in un parlamento di 500 persone non avrà mai grande impatto nazionale. Le elite politiche locali possono partecipare alle elezioni amministrative del sottodistretto, municipali e provinciali, ma con pochissimo prestigio.
Lo stato thailandese ha usato la promessa di elezioni locali come tattica del divide et impera, ed ha incoraggiato importanti famiglie malay musulmane a lottare tra di loro per guadagni politici, portando alla disillusione verso le elite da parte delle classi povere ed i giovani.
Un processo parallelo di disillusione si è avuto con i capi religiosi islamici, tanti dei quali avevano legami stretti nello stato thailandese mediante varie connessioni tra le quali la proprietà di scuole private sostenute dallo stato e il loro lavoro con i consigli islamici provinciali sempre sponsorizzati dallo stato. In breve i gradi superiori dell’elite musulmana malay ha perso la credibilità con le loro comunità di base che li percepiscono come vendutisi a Bangkok. Nel frattempo Bangkok continua a vedere queste stesse elite con grande sospetto di avere in seno grandi simpatie verso il movimento separatista.
Un quadro generale dei belligeranti
Il movimento militante principale a Patani comprende gli oppositori del governo di Bangkok. A loro si oppongono prima di tutto i militari thailandesi, la polizia e gruppi formali paramilitari tra i quali volontari di difesa di varia specie. Ci sono anche gruppi buddisti di milizia ancora più ombrosi dedicati a “difendere” le loro comunità, alcuni membri dei quali hanno portato avanti attacchi di vendetta o persino omicidi.
Non è facile definire e classificare i gruppi insorgenti malay musulmani. Non reclamano mai la responsabilità per l’attacco, non si danno un nome, non hanno ali esplicite politiche e non emettono affermazioni o richieste. Nelle fasi iniziali del conflitto i militanti erano divisi in gruppi con agende politiche in conflitto. I gruppi più importanti erano il PULO e il BRN.
Negli anni 90 questi vecchi gruppi si erano frammentati in fazioni rivali, molte delle quali poco attivi, ed alcuni dei quali esistevano nelle immaginazioni di capi autoproclamati che vivevano in esilio in Malesia o in Europa.
I militari credono che in genere l’insorgenza del dopo 2004 sono allineati con il BRN-C, un gruppo allontanatosi dal BRN.
L’intelligence thailandese afferma che i militanti hanno la loro struttura dall’alto che operano in parallelo nei villaggi, distretti e province. La prova di questa struttura monolitica è frammentaria ed altre analisi insistono che la gran parte degli scontri è portata avanti da piccoli gruppi di militanti, Juwae, di età che va da 17 a 25 anni, che operano in cellule da sei persone e portano avanti attacchi di propria iniziativa. Mentre questi juwee sono stati addestrati da un moviemnto più vasto, funziona apparentemente come una rete piuttosto che una gerarchia convenzionale, qualcosa che le forze di sicurezza difficilmente comprendono. La relazione precisa tra i vecchi gruppi di insorgenza come BRN-C e i juwee resta oscura.
Manifestini anonimi distribuiti apposta dai militanti riflettono varie narrative condivise che ttrattano lo storico maltrattamento di Patani da parte di Bangkok, la brutalità di quello che usano chiamare “il siamese infedele”, e la legittimazione dei loro reclami territoriali. Allo stesso tempo non esistono molte prove che i malay musulmani, che lottano contro il governo thailandese, condividano una piattaforma comune.
Alcuni chiaramente coltivano l’idea di una Patani indipendente, chiusa tra lo stato malese e thailandese. Altri considerano questa domanda come un mezzo di negoziato per raggiungere una forma di autonomia. Altri non hanno un’agenda specifica: vogliono solo esprimere la loro resistenza al governo thailandese attraverso atti di disobbedienza civile e la violenza.
Le forze di sicurezza difficilmente vedono l’insorgenza come problema politico, preferendo all’inizio credere che la maggior parte della violenza era causata da conflitti personali, da criminali o dalle conseguenze del traffico di droga sulla frontiera. Lo stato thai è stato guastato da gravi conflitti interni sin dal 2001. In breve, l’esercito è stato associato con la Monarchia, il sistema giudiziario e il potere conservatore che a loro volta hanno legami stretti col partito democratico: questo insieme di alleanze è stato definito “monarchia della rete”. Per contrasto l’ex premier Thaksin, a cui sorella è premier dal 2011, è fortemente alleato con la polizia e con una rete di burocrati pragmatici e gente degli affari. Negli anni recenti le magliette gialle sono andati regolarmente per strada contro i governi di Thaksin, mentre i rivali delle magliette rosse si sono opposti al governo del partito democratico. In altre parole il conflitto del meridione riflette la divisione politica intrattabile più larga a livello nazionale.
Qual’è il contesto religioso del Conflitto?
Considerato che il buddismo è una delle colonne dell’identità nazionale, non si può davvero separare la religione da una sfida alla nazione thai specialmente quando quando la fonte di questa sfida è una minoranza religiosa.
Il conflitto meridionale thailandese è essenzialmente una lotta etnica-nazionalista, non una religiosa; allo stesso tempo il buddismo è allineato fortemente con il nazionalismo etnico thailandese, mentre il nazionalismo etnico dello staterello Patani è inseparabile dall’Islam.
I manifestini anonimi distribuiti nella regione dai militanti hanno un linguaggio e riferimenti jihadisti, ma le lamentele che articolano riguardano per lo più la storia, la giustizia, l’identità e la politica. Detto questo i collegi tradizionali islamici e le scuole private islamiche danno un terreno fertile dove si reclutano giovani militanti molti dei quali si identificano e allevati da insegnanti islamici. Quelli che muoiono violentemente negli scontri con le forze di sicurezza sono sepolti senza essere lavati, come shahid. Un certo numero di scontri violenti si sono avuti sul terreno o dentro le moschee.
La militarizzazione dei templi buddisti nella regione simboleggia i legami stretti tra la popolazione di minoranza thai e le forze di sicurezza che hanno preso molti templi come delle basi ad hoc, talvolta apertamente per proteggere i membri della Sangha. Molti abati e monaci sono profondamente conservatori e nutrono sentimenti antimusulmani, mentre solo pochi hanno sostenuto il dialogo tra fedi.
Un piccolo numero di monaci buddisti sono stati feriti o uccisi chiaramente individuati dai militanti. Con un programma sostenuto ufficialmente per accrescere il fatiscente ordinamento dei monaci nella regione, sono stati ordinati da monaci in incognito vari soldati in servizio attivo presso il tempio locale, ed alcuni continuano a portar ancora le armi.
Gli attori principali. Qual’è la loro giustificazione per le azioni violente?
Alcuni militanti sono stati reclutati nel movimento sulla base della lotta per la jihad, ed andranno in paradiso se dovessero morire di morte violenta. I reclutatori affermano che la Thailandia limita i diritti di religione per i musulmani (discutibile). Per decenni il movimento militante ha mantenuto il proprio circolo di ulama che si suppone siano consultati ed “approvano” gli atti violenti.
In contrasto, alcuni membri delle forze di sicurezza e milizie locali credono di agire in difesa del buddismo con tutti i mezzi, anche omicidi extragiudiziali, per limitare l’attività militante. In privato, molti monaci anziani perdonano gli atti violenti illegali commessi chiaramente per “proteggere” le comunità buddiste.
E’ certamente vero che molti insegnanti islamici hanno studiato in medio oriente, Pakistan ed Indonesia, e che la loro comprensione di nozioni come Jihad si è formata su quelle esperienze. Ci sono alcune prove limitate che alcuni juwee hanno passato del tempo nei paesi musulmani. Per lo più questo è un conflitto nazionale, e gli insorti di Patani hanno chiaramente invitato i militanti stranieri a starne fuori. Non percepiscono la propria lotta come parte di una jihad regionale o globale, quanto un conflitto localizzato su quanto reclamano per un territorio specifico.
Qual’è il coinvolgimento di gruppi religiosi non combattenti importanti?
Finora, la maggioranza delle persone uccise dal 2004 sono state Malay musulmane, mentre la maggioranza dei feriti sono stati buddisti. Ci sono varie differenti categorie di vittime: membri delle forze di sicurezza e degli allineati allo stato thai, insegnanti, capi islamici, e civili ordinari di entrambe le grandi comunità. Delle volte monaci buddisti e insegnanti islamici sono stati scelti per attacchi di alto profilo e sebbene relativamente rari, la violenza contro i monaci prende i titoloni dei giornali di Bangkok più di quanto prendano i titoli le notizie degli insegnanti islamici o degli imam.
Non ci sono particolari restrizioni al culto musulmano. Infatti molti villaggi ora hanno due o tre moschee differenti che riflettono il differente pensiero. Comunque lo stato thailandese ha cercato di gestire le comunità musulmane attraverso un sistema di consigli islamici provinciali eletti che sono stati fortemente manipolati. Le autorità dello stato hanno persino tentato di mischiarsi nelle elezioni dei consigli islamici della regione.
Le comunità buddiste che sono la minoranza in molti distretti rurali hanno trovato difficile mantenere il loro stile di vita. Considerato il basso numero di monaci ordinati localmente, con difficoltà fanno le cerimonie religiose. Molti templi buddisti sono stati sequestrati dalle forze dello stato o dai volontari della difesa territoriale: invece di essere oasi di pace sono diventati bunker fortificati. Alcuni buddisti hanno abbandonato queste aree per le aree vicine, mentre i buddisti più ricchi mantengono una seconda casa ad Hat Yai o persino Bangkok. Altri hanno formato gruppi di milizie dedicati a difendere il proprio stile di vita con il tacito sostegno delle agenzie di governo.
Si sono formate alcune organizzazioni di società civile che lavorano per affrontare le cause del conflitto ed aiutare a costruire la pace. Uno di questi è Deep South Watch, presso l’università di Prince of Sogkla a Pattani che si dedica a monitorare il conflitto e il rafforzamento delle comunità locali. Un’altra organizzazione è Patani Forum che promuove lo scambio aperto di punti di vista sulle questioni che riguardano il conflitto.
Aspetti regionali del conflitto
Una serie di attori esterni ha provato a dar assistenza nella risoluzione del conflitto, come ASEAN, il governo Malese in due differenti occasioni, il governo indonesiano, l’organizzazione della cooperazione islamica e due gruppi umanitari europei. Altri attori hanno cercato di facilitare o iniziare il dialogo tra gruppi militanti e stato thailandese.
Nessuna iniziativa ha portato una sviluppi significativi in parte perché tendevano a focalizzarsi su elementi particolari dello stato thailandese, come NSC, i militari o l’ufficio del primo ministro, piuttosto che ingaggiare un campo esteso di agenzie dello stato. Considerata la natura diffusa dei circoli di potere in competizione che operano nello stato thailandese e dell’elite, ogni iniziativa significativa richiederebbe un sostegno largo. Le politiche frammentate e polarizzate a Bangkok costituiscono un grande ostacolo all’accordo politico.
Problema simile si applica all’altro lato del tavolo: considerata la natura diffusa dell’insorgenza e la mancanza di gruppi chiaramente definiti e di capi che controllano la violenza militante, non è facile definire che potrebbe o dovrebbe rappresentare l’insorgenza in un processo di dialogo. Processi precedenti hanno lavorato principalmente con non insorgenti, cioè malay musulmani senza legami diretti ai gruppi militanti, ma che possono avere visioni rilevanti o canali di accesso propri, oppure ex insorgenti.
Una domanda chiave è: Chi è messo bene per facilitare, negoziare o mediare tra le autorità thailandesi e gli insorgenti?
Questo è il terzo grande problema che si trova davanti ogni processo di dialogo. Attori non statali possono godere di vantaggi in situazioni simili, ma a loro mancano l’influenza o le risorse del governo. I governi vicini possono contribuire molto, ma Malesia ed Indonesia forse sono viste con scetticismo dalla Thailandia per la loro simpatia aperta verso le comunità malay a Patani.
La OIC è vista con particolare sospetto dai thailandesi, rappresentanti di un’agenda “islamica” probabile nemica degli interessi thai. L’ultima iniziativa del governo malese fu sostenuta dal governo thailandese nel febbraio 2013 ed ebbe più forza di ogni altro processo. Cionondimeno vari conflitti politici a livello nazionale in Thailandia, sin dal novembre 2013, implicano che tutte le speranze di risoluzione dell’insorgenza meridionale sono bloccate.
Duncan McCargo, TonyBlairfaithfoundation