Chutima Sudisathain e Alan Morrison si sono presentati al tribunale di Phuket per ascoltare l’accusa di diffamazione lanciata contro di loro dalla Marina Reale Thailandese. Come prassi, i due devono essere detenuti per il tempo necessario, se non fanno richiesta di cauzione. Quello che segue è il racconto di Chutima Sudisathain di quelle ore nella prigione di Phuket .
Dietro le sbarre della prigione di Phuket con spacciatori, tomboy e una donna che vendette le sue figlie
Se qualcuno ha visto il mio fermacapelli, probabilmente sarà sul lato sbagliato delle mura della prigione di Phuket. Forse è lì che si trova quel piccolo e prezioso regalo di un amico.
Un maschiaccio nella cella per donne della Corte Provinciale di Phuket mi ha chiesto se glielo potessi donare, e non avevo altra scelta che darlo. Non è una cosa bella essere tenuta prigioniera a Phuket.
All’arrivo con il mio collega Alan Morrison di Phuketwan presso la corte provinciale di Phuket, la situazione era apparsa più bella. Quasi tutti i media di Phuket con qualche ecczione, erano rappresentati lì.
Si precipitarono a filmare e fare foto mentre scendevamo dall’auto. Si pensa che i giornalisti devono presentare le notizie, e quindi non eravamo pronti ad essere le celebrità di un caso di diffamazione penale.
Appena fuori della corte, un giornalista anziano a nome di tutta la stampa, mi ha regalato una rosa bianca. Fu un momento toccante in cui era cchiaro che quasi tutti i media di Phuket, tranne due eccezioni insignificanti, comprendevano il bisogno ovvio di lottare per la libertà dei media.
A distanza c’erano ad attenderci membri dell’Associated Press, Reuters e Voice of America, oltre ad un inviato dell’ambasciata australiana a Bangkok, due osservatori della comunità musulmana di Phuket che erano venuti a salutarci e il rappresentante di Southeast Asian Press Alliance, Kulachada Chaipipat.
Prima di poter entrare nel palazzo del tribunale, il senatore appena eletto Chaiyot Punyawai si fece avanti ed avemmo una bella discussione. Chaiyot fu il primo da avvocato a comprendere l’ingiustizia del nostro caso ed a offrirci di rappresentarci non appena fummo denunciati a dicembre. Poi improvvisamente dovette partecipare alla tornata elettorale per il Senato, e siamo stati rappresentati da quattro avvocati di Bangkok. Come molti altri avvocati in Thailandia, hanno imparato a battersi contro la legge del crimine informatico e della diffamazione penale.
Poi sapemmo che il giorno dopo eravamo sulle prime pagine dei giornali nazionali. Non ci vorrà molto tempo per capire che è macchiata la reputazione di tutto il paese da questa azione mal concepita di un’organizzazione rispettata come la Marina Reale Thailandese.
Se gli ammiragli sono saggi, hanno tempo per aggiustare questo errore.
Dentro il tribunale le carte erano pronte nell’anticamera. Ci fu dato un modulo per la cauzione perché allora eravamo costretti a diventare prigionieri della corte. Un ufficiale ci chiese se volevamo stare negli uffici, ma io dissi: “no grazie. Vogliamo essere trattati come gli altri prigionieri”.
Seguimmo la procedura e il comandante della prigione, con la sigaretta in bocca, ci fece firmare e ci guidò verso le celle. Un posto lugubre.
Le donne erano messe in una cella, gli uomini ancor più dentro in una cella che aveva le barre coperte con una retina d’acciaio.
Nella celle delle donne, c’erano nove altre prigioniere, tutte con uniformi beige e brune. Dopo seppi che nella prigione degli uomini c’erano 36 persone che divennero poi novanta. Contenta io di non trovarmi in un posto così affollato.
Le donne non portavano le catene alle loro caviglie delicate. Il tomboy che prende il mio fermacapelli iniziò a far parlare tutti e scoprii le condizioni del carcere di Phuket.
Tutte dicevano che la prigione è sovraffollata tanto che le donne e gli uomini, per dormire, devono stendersi sul pavimento sul proprio fianco.
“Di notte non c’è spazio per tutti per stendersi supini” di diceva una donna. “hai spazio per dormire di fianco. E se una persona vuole girarsi, devono farlo tutti allo stesso momento.”
Facemmo il conto di quanto spazio c’era per ogni detenuto per dormire in una prigione dove ci sono 2700 detenuti per un carcere che ne poteva contenere 750. Un posto piccolo fino a far paura, come lo spazio sulle navi della schiavitù. Non serve a nulla spendere dei soldi per gente che infrange la legge, è la regola.
Quattro bagni per la cella delle donne, ma poi seppi che per i maschi solo due per un numero dieci volte maggiore. Le porte ad altezza d’uomo. Senza carta igienica.
Una donna piangeva. Niente cibo o acqua dalle 10,30 fino alle 15,30. Gli uomini non sono così bravi, come lo sono le loro donne, nel fornire quello di cui c’è bisogno alla loro amata dietro le sbarre.
Sentii una voce d’uomo chiamarmi da fuori.
“Khun Oi, stai bene?”. Risposi e subito giunsero bottiglie di tè freddo e acqua che condivisi con le altre le quali apprezzarono. Poi giunse anche qualcosa da mangiare da parte di un altro amico.
“Di cosa sei accusata” mi chiese una donna.
“Di aver diffamato la Marina Reale Thailandese.”
“Tu pensi di vincere? Non ci credo”
“Beh vedremo. Forse finirò in prigione”
“Prova a farla franca. E’ tutto terribile qui dentro”
Una carcerata era stata beccata con 33 chili di kratom, foglie naturali dichiarate illegali per la sua potenza quando mischiata con altre cose.
“Era un buon affare” diceva la donna. “Comprammo le foglie di Kratom a Surat, Nakon, o Krabi, e le introducemmo a Phuket. 900 baht al chilo e le vendevamo a 1500 al chilo. I birmani amano il kratom che lo mischiano con gli energizzanti o con altre sostanze. Anche i ragazzi del posto la stanno sempre più apprezzando. Le altre cos costano troppo per i ragazzini. Possiamo vederle 200 chili al giorno e non è abbastanza per Phuket.”
Un’altra donna aveva un’altra storia ancor più dura da raccontare a quelli che conoscono solo la parte occidentale di Phuket e le spiagge dei turisti.
“Hanno arrestato tutta la famiglia” mi disse la donna. “lavoravo come protettrice in casa. Quando la polizia fece l’irruzione due anni fa ci arrestarono tutte.”
Due ragazze più giovani erano le sue due figlie. Una lavorava come prostituta da quando aveva tredici anni, ed un’altra figia giovane ed il figlio si trovavano nel carcere giovanile a Saphan Hin a Phuket Città.
Il marito della donna che ora lavora nella cucina di un hotel fu arrestato ma non c’erano prove che lo legavano al business e fu liberato. Ora si occupa della figlia piccola.
“Ci facevano visita giovani studentesse che si offrivano per lavorare. Le mamme devono cominciare a vedere cosa fanno i loro figli oggigiorno”.
Ed aggiungeva: “Tutti vogliono l’ultimo telefono o comprarsi il biglietto del cinema. Le studentesse del college sono particolarmente pronte a fare altri soldi. Tanti non sanno di questo.”
Una volta andai al bagno, ma chiesi prima alla donna di guardarmi. Gli uomini in piedi sulle panche nella cella di fianco possono sbirciare dentro la toilette femminile.
C’era anche qualche comunicazione tra le due celle. “Dicci per cosa sta dentro il farang in camicia bianca e cravatta”
La curiosità è universale e l’informazione è potere.
“Siamo stati denunciati dalla marina reale thailandese”
“Cosa grossa. Giocate con i pezzi grossi”.
“Sono i pezzi grossi a giocare con noi”.
Ci parve di essere delle celebrità, sia dentro che fuori la prigione.
Dopo seppi che il mio collega si trovò a fianco di Stein Dokset, il norvegese diventato famoso a Phuket per un cadavere ritrovato nel cassonetto dei rifiuti. Anche lui aveva una storia interessante da raccontare.
Alle 3,30 una volta che completarono le carte uscimmo. Un sollievo. Cinque ore lì dentro furono sufficienti per me.
Mentre si chiudeva la cella alle mie spalle, le mie amiche carcerate mi salutarono ed una voce gridò: “Non tornare più”