Daranee Charncherngsilpakul, conosciuta come Da Torpedo, ha perso l’appello contro la sentenza di lesa maestà che la condanna a 15 anni di carcere per aver insultato la monarchia.
Daranee ha fatto campagna contro il golpe militare del 2006 ed era conosciuta dai suoi sostenitori per il suo linguaggio forte dal palco.
La militanza di Daranee Da Torpedo comincia ben prima della formazione delle Magliette Rosse.
Fu arrestata nel 2008 per alcuni discorsi che fece a Sanam Luang che furono denunciati come insultanti della Monarchia. Un primo processo, tenuto a porte chiuse, le inflisse 18 anni di carcere. Ma in seguito all’appello il processo fu ripetuto con una condanna a 15 anni di carcere quando ne aveva già fatti tre.
A Daranee, come a tutti gli accusati di lesa maestà, Le è stata ripetutamente rifiutata la cauzione anche alla luce del suo atteggiamento fiero e per non aver mai chiesto il perdono reale, nonostante le precarie condizioni di salute.
Con il rigetto dell’appello i giudici dicono che le sue azioni hanno causato un pericolo per la monarchia “Dobbiamo perciò punirla severamente per scoraggiare azioni simili da parte di altri”.
A fine processo, Da Daranee ha detto ai giornalisti che ha passato in carcere 5 anni ma nessun capo dellUDD, magliette rosse, è mai venuto a trovarla tranne Suda Rangkupan, leader dell’ala più progressista delle magliette rosse. “Non sono sicura se lotterò ancora al fianco dell’UDD dopo che mi rilasciano dal carcere.” ha detto Da Torpedo.
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Mentre tutto è calmo sulla superficie, è apparso un fatto importante nel dibattito attuale sul ruolo della monarchia la scorsa settimana, quando il giornale online Prachatai.com ha riportato che il gruppo speciale dell’unità dei Ranger 45 era stata molto indaffarata nel portare avanti una cyberguerra.
Nel testo si diceva che il gruppo vantava di essere l’unità più prolifica di messaggi online che esaltavano la monarchia e rispondevano contro quelli definiti come diffamanti dell’istituzione.
L’unità di stanza a Narathiwat affermava sul proprio sito web di aver messo oltre un milione e mezzo di messaggi nel periodo di quattro mesi tra giugno e settembre scorsi con una media di quasi 14 mila messaggi al giorno, fatti con diversi pseudonimi per farli sembrare parte di un intervento coordinato e sistemico. Non era ovviamente l’unica unità a fare questo.
I fatti suggeriscono che sotto la superficie calma del consenso e dell’accettazione dello status quo, dove la legge draconiana della lesa maestà funziona, la presunta realtà nella realtà virtuale non poteva essere più differente.
In un altro duro avviso due interventi esteri sul problema della lesa maestà hanno avuto luogo. A Ginevra il rappresentante della Germania presso l’ONU esprimeva la propria preoccupazione sul ripetuto diniego di cauzione a vari detenuti per lesa maestà. Il problema fu sollevato il 3 giugno durante un dialogo con l’inviato speciale dell’ONU sulla libertà di espressione. La Controparte thailandese ha negato ogni irregolarità.
La Germania nota il diniego sistematico per un certo numero di persone accusate secondo l’articolo 112 in Thailandia e sottolinea che questo fondamentale diritto è garantito dalla Costituzione Thailandese. Sottolineano che, mentre comprendiamo che il diritto alla cauzione possa avere alcune limitazioni sotto certe circostanze, il diniego sistematico per persone accusate di lesa maestà non sembra ragionevole e giustificabile. Invitiamo la Thailandia a esaminare la situazione” diceva il rappresentante tedesco durante la sessione 23 del dialogo del Consiglio dei Diritti Umani.
Il rappresentante thailandese all’ONU di Ginevra, Thani Thongpakdi, rispondeva che “quelli accusati di lesa maestà hanno i propri diritti secondo il processo dovuto della legge”.
La scorsa settimana, qui a Bangkok, il presidente della WAN-IFRA, Jacob Matthew ha passato alcuni minuti durante il suo discorso di apertura del Congresso dei giornali del Mondo, che ha radunato 1500 persone di 66 paesi, ricordando loro che la legge thailandese di Lesa Maestà è usata male e crea un clima di paura. Eppure i giornali in lingua thailandese hanno semplicemente ignorato quanto sollevato da Matthew.
La verità è che talvolta possiamo valutare la realtà da quello che non possiamo o vogliamo dire in Thailandia mentre gli stranieri lo gridano forte. Talvolta quello che accade su facebook, Twitter ed le i luoghi di discussione online ci dicono di più sull’ansia e il disaccordo nella società thailandese riguardo al ruolo dell’istituzione monarchica e la legge di lesa maestà di quanto i media di massa amano farci credere.
C’è qualcosa di sbagliato in una società dove gli stranieri sono più liberi di parlare dei problemi di quella società dei suoi abitanti, dove i dibattiti e le argomentazioni sulla realtà virtuale ci dicono di più della verità di quella società.Nel caso della controversa legge di lesa maestà e del dibattito del ruolo della monarchia, la triste realtà è che per gli stranieri è più facile e salutare parlare criticamente. Se sei un cittadino thailandese, allora quello che puoi fare è per lo più fare gossip o porre messaggi critici della monarchia e della legge, con uno pseudonimo e discutendo con altri che potrebbero essere cyber guerrieri dell’unità 45 dei ranger che forse hanno anche loro delle false identità.
Pravit Rojanaphruk