La questione ha sollevato la forte negazione della Marina Thailandese che sostiene “Abbiamo simpatia per loro. Nessun umano o soldato può commettere un simile atto perché la popolazione Rohingya non è nostra nemica” ed aggiunge un rischio di voler incastrare provocatoriamente la Marina Reale: “Quelli che accusano la Marina di fare del male o uccidere i Rohingya dovrebbero farsi vedere e prendersi anche cura di loro, non devono accusare gli altri senza dare aiuto”.
Ma nel frattempo l’incidente ha sollevato l’attenzione di Human Rights Now che presenta un racconto degli avvenimenti particolare:
“I sopravvissuti hanno raccontato che la mattina del 21 febbraio i pescatori thailandesi hanno aiutato la loro barca alla deriva ad approdare sull’isola di Surin a largo della costa della provincia di Phang Nga. Quello stesso giorno alle 6,30 della sera una imbarcazione di pattuglia della marina, la TOR 213, giunse sull’isola e tirò la loro barca verso il mare. La TOR214 e la barca dei Rohingya giunse vicino al molo nel distretto di Karaburi della provincia di Phang Nga la mattina successiva alle 5. Secondo i sopravvissuti e gli abitanti sulla costa, il personale della TOR 214 cominciarono a dividere i Rohingya in piccoli gruppi nella barca ordinando loro di prepararsi per barche più piccole. In quel momento ci fu incertezza tra i rifugiati se sarebbero stati portati ad un centro di immigrazione o se respinti in mare. Quando il primo gruppo da venti fu sistemato su una barca più piccola dalla marina thailandese, alcuni furono presi dal panico e si buttarono in acqua. Il personale della marina sparò alcuni colpi in aria dicendo di non muoverci, racconta un sopravvissuto, ma avevamo paura e ci lanciammo in acqua, e loro allora aprirono il fuoco su di noi in acqua.”
Sono quattro sopravvissuti a raccontare l’incidente, dopo che hanno nuotato fino ad un villaggio e ospitati da abitanti del villaggio, nascosti alle autorità. Ora si dice che i quattro si trovino in Malesia per paura di ritorsioni. Secondo le notizie furono recuperati due corpi dall’acqua ed uno di essi aveva un proiettile in testa. I corpi sono stati sepolti, mentre sono venti le persone che mancano all’appello. Forse morti.
Nel frattempo sono apparsi altre notizie su quell’incidente.
Durante l’incidente un pescatore del villaggio di Hinland, che si trovava con altri tre, dichiara di essere stato minacciato, mentre era sulla barca dei Rohingya per dare loro dell’acqua, da una pistola alla tempia da un militare mentre gli si diceva di sparire che ormai i profughi erano stati nutriti. Dopo essere ritornato al suo lavoro, l’uomo sentì molti spari. Nei giorni seguenti recuperarono tre corpi nelle acque vicine ed altri pescatori trovarono altri corpi in acque poco lontane. “Uno dei tre corpi era di una donna. I miei amici dall’altro lato della baia hanno visto altri corpi. Pensiamo siano da 15 a 20 corpi.”
Quando poi sono tornati verso la riva hanno visto che la barca era portata verso Nord, e verso il tramonto hanno raccolto uno dei Rohingya ancora vivo.
Per fortuna che la Thailandia non è affatto rappresentata dalla sua gerarchia militare.
Sia dal racconto dei sopravvissuti che da quello degli abitanti emerge invece una profonda simpatia degli abitanti della costa attorno a Phang Nga per questi profughi, cacciati dalla propria terra e respinti da tutti, dimenticati.
Quella barca di 130 Rohingya, diretta in Malesia, finisce il carburante e viene trascinata sulla costa, dove la gente da loro da mangiare e li ospita. All’arrivo della Marina gli abitanti del villaggio dicono loro che ci si può fidare. I profughi, tra i quali sei donne e due bambini, si affidano e lasciano la riva. Tra gli abitanti si sparge la notizia che la barca sarebbe ritornata su un’altra spiaggia e si adoperano per preparare loro altri pasti, ma attendono invano il loro arrivo.
Nel frattempo la barca era stata portata in un’altra località dove è cominciata la creazione di piccoli gruppi e del relativo trasbordo in imbarcazioni più piccole. L’insicurezza di quello che accadeva e il rischio di essere separati da amici con cui avevano iniziato l’avventura ha portato al panico e poi agli spari.
Dal racconto degli abitanti del villaggio di Hinland ai giornalisti emerge che negli ultimi mesi hanno visto tantissimi Rohingya navigare verso sud e li hanno presi a cuore, sia perché sono anch’essi musulmani ma anche per la loro storia di perseguitati, delle loro case distrutte, degli stupri e dell’odio razziale. La stessa presenza di donne e bambini ha suscitato molta commozione tra gli abitanti ma anche tra militari sensibili, tutti pronti a garantire loro cibo ed acqua. In qualche modo soccombono alle politiche dei paesi dell’ASEAN che non intervengono sulla Birmania per fermare questo esodo di una popolazione che non vuole e soccombono anche alla politica Thailandese di “accompagnarli” in paesi che li possono ospitare.
Questa vicenda oltraggiosa ha causato molta costernazione e rabbia tra gli abitanti di Hinland che si cominciano a domandare del significato di queste azioni dei militari e della politica del proprio governo, incrinando il rapporto che la popolazione locale aveva finora con la Marina Thailandese.
Se ovviamente per la Marina Thailandese, come già detto sopra, non è accaduto nulla, la gente del posto si domanda delle ragioni di quelle operazioni di quella tragica mattina. Perché trascinare la barca in una zona deserta e spostarli in barche più piccole? Perché sparare quei colpi uditi a chilometri di distanza?
Su questo incidente al premier Yingluck Shinawatra è stata posta un’interrogazione da parte di vari giornalisti e la premier ha risposto:
“Voglio dire prima di tutto che non incoraggiamo alcuna violenza né a fare del male ad alcuno. E’ la nostra politica e naturalmente dobbiamo essere equi nei confronti di tutti e daremo indagini sul caso.”
Si spera che la promessa di Yingluck sia mantenuta, anche se ci si domanda chi sarà a fare l’indagine, se un’indagine interna dei militari potrà mai approdare a qualcosa. Il passato non aiuta di certo. Si consideri che in un altro caso di denuncia di collusione tra militari e trafficanti umani di profughi Rohingya le indagini hanno scagionato i due militari coinvolti per mancanza di prove evidenti. Secondo il rapporto di alcuni giornalisti, l’indagine del DSI sui presunti legami tra esponenti dei militari e i trafficanti di Rohingya è durata appena un giorno.
La politica thailandese attuale è essenzialmente di respingere i Rohingya, mentre al contempo si danno viveri e carburante affinché i profughi possano proseguire il viaggio verso la Malesia. Solo per oltre 800 Rohingya scoperti nella provincia orientale di Songkla, si è accettato lo status di rifugiato per soli sei mesi e si è ammesso l’UNHCR alle indagini del caso: tutti gli altri devono essere perciò respinti.
Forse se la Thailandia cambiasse la sua politica verso questa popolazione e verso i rifugiati in genere, accettando la convenzione internazionale dei rifugiati, e seguisse quello che le popolazioni locali attualmente fanno, il paese sarebbe molto più accogliente e sano di quello che attualmente è. Probabilmente riuscirebbe ad avere anche una maggiore collaborazione internazionale sulla questione dei Rohingya.
http://phuketwan.com/tourism/accounts-boatpeople-shooting-incident-leave-question-answer-17732/
http://asiancorrespondent.com/author/siamvoices/