Il populismo della politica thailandese rischia di minacciare la produttività distorcendo i prezzi e la competitività
La Thailandia si trova bloccata in una trappola di paese da entrate medie di una crescita economica mediocre aggravata dalla combinazione di “uno sciopero” del capitale” da parte dei capitalisti thailandesi e di politiche populiste che minacciano di distorcere i prezzi e la competitività della larga economia.
L’introduzione dei salari minimi e di altre politiche populiste fortemente dibattute del governo Yingluck Shinawatra non toccano il problema più profondo della non volontà dei capitalisti locali di innalzare l’economia ad un livello dove lavoratori sempre più produttivi possono obbligare a paghe più alte.
Dalla salita al potere nel 2001 di Thaksin Shinawatra, i governi thailandesi hanno esaltato sempre i motori fiscali per aver successo nelle loro promesse populiste che seguivano le vittorie popolari. Tuttavia la elite politica del paese si rende a mala pena conto che lo sviluppo economico si è fermato. Nel decennio fino al 2010 il PIL è cresciuto del 4,4% annuo, quasi la metà della media regionale. Le concessioni populiste anche ben intenzionate per affrontare le forti differenze di reddito sono quasi inutili nel far crescere la competitività nazionale, secondo vari esperti.
Il governatore della banca centrale Prasarn Trairatvorakuldi recente ha detto: “Mi rendo conto che i politici devono assicurare la propria popolarità. Ma bisogna considerare anche le sfide di lungo termine.” indicando lo stato cattivo dell’istruzione, l’allarmante basso finanziamento della ricerca e allo sviluppo ed una popolazione che invecchia. Prasarn inoltre avvisava che le industrie ad alta intensità di lavoro avrebbero dovuto modernizzarsi o chiudere, forse però dimenticando un problema più vecchio e cronico. I profitti delle industrie sono alti in Thailandia e le banche hanno molta liquidità. Tuttavia nel decennio scorso la maggior parte delle compagnie hanno soltanto messo i profitti in tasca piuttosto che investirli in strategie di crescita di lungo periodo. Non esiste quasi disoccupazione ma i salari non sonno quasi cresciuti in un decennio.
“C’è uno sforzo deliberato di tutti di mantenere un ritorno sul capitale, cioè di mantenere la scarsità di capitale. E perciò le paghe reali non sono salite. E’ il solo modo che posso spiegarlo.” ha detto Supavud Saicheau, economista e direttore della locale Phatra Securities. La riluttanza delle imprese a investire non è risultata sorprendentemente in un guadagno di produttività molto debole. Come la Banca Mondiale ha notato, è stato minaccioso particolarmente nel settore dei servizi che creano lavoro. Negli ultimi dodici anni, la manifattura è cresciuta di peso nel PIL dal 30% al 40% mantenendo più o meno il 15% della forza lavoro, mentre nello stesso periodo i livelli delle paghe reali sono salite tra il 3 e il 4% mentre il prodotto cpmplessivo dell’economia è aumentato del 50%.
Supavud atribuisce alla crisi finanziaria e monetaria del 1997 che tecnicamente ha portato alla bancarotta una vasta base di uomini affari thailandesi insegnado loro una lezione importante. “Prima della crisi i capitalisti thailandesi davvero sprecavano capitali credendo che la crescita ci sarebbe sempre stata così era meglio afferrare ciò che si poteva, prendere le azioni del mercato e fare soldi. Non se ne curavano delle conseguenze” dice Supavud. “E’ finito tutto in lacrime ed i capitalisti sono stati colpiti duramente. Dopo di ciò hanno cominciato a conservare i capitali, ad essere molto attenti con i loro investimenti mantenendo un alto profitto a spese del lavoro … Non era che fossero cattivi, ma un modo per preservarsi….”
Questo potrebbe spiegare il paradosso per cui la maggior parte delle paghe reali sono quasi del nulla salite anche se la disoccupazione ufficiale è quasi nulla. Mentre l’economia del paese si riprende dall’alluvione devastante che la colpì nel 2011 tutte le città sono tappezzate da scritte “si ricerca lavoro”. Ma le cifre della produttività dicono qualcos’altro. Nella prima metà degli anni 90 la produttività salì di un robusto 8,3% annuo, cadendo ad un mero 0,1% prima e dopo il boom dal 1995 al 2000. Si da allora la produttività è salita ma solo del 2.5% annuo nel periodo 2000 al 2008. E’ rimasta stagnante negli anni più recenti.
La Thailandia si è fatta sfuggire quasi due decenni di rapida crescita di produttività che un tempo prometteva di elevare il paese allo status di economia di nuova industrializzazione ad alto reddito, similmente alla scalata vista in Giappone, Corea del Sud e Taiwan. Nel frattempo, gli anni di facile crescita derivanti dalle esportazioni di lavoro mal pagato e contadini che abbandonavano i loro campi per il lavoro nelle industrie sono ben finiti per la Thailandia. L’apertura economica attesa della Birmania, il vicino sottosviluppato della Thailandia, minaccia anche un esodo di emigranti con paghe basse.
Certo salire la scala del valore aggiunto rappresenta una sfida politica significativa. La vicina Malesia ha avuto problemi analoghi con investimenti bassi in modo cronico sebbene con una base di ricchezza più vasta. Il PIL pro capite della Malesia è più del doppio della Thailandia; quello di Singapore trainata dai servizi è dieci volte. Una combinazione di investitori riluttanti ed un insolito grande numero di lavoratori in settore informale ha prodotto un mix economico tossico per lo sviluppo secondo Sethaput Suthiwart-Narueput manager della Advisor Company.
Di una forza lavoro di 38 milioni, 21 milioni come contadini, tassisti e altro non ricevono un’entrata regolare. Dei rimanenti 17 milioni solo 9 milioni sono pagati con un salario mensile mentre altri otto milioni ricevono una paga giornaliera. “Abbiamo molti lavoratori che lavorano su base giornaliera per cui la possibilità che qualcuno voglia investire in addestramento e tecnologia su queste persone è davvero bassa. Questo contribuisce ad una crescita della paga bassa e mancante di stimoli.” dice Sethawut.
La ricerca economica mostra che quando i livelli di perizia del lavoro sono bassi, in parte per i bassi investimenti oltre ad un sistema di istruzione antiquato, un vasto gruppo di lavoratori impiegati informalmente agiscono come un peso sui salari mensili. Lavoratori esteri malpagati, che ora si aggirano attorno ai 3 milioni, possono aver preso alcuni lavori spesso non desiderati dai lavoratori thailandesi generici. Ma gli studi accademici suggeriscono che non hanno mantenuto basse le paghe in modo significativo, almeno non direttamente.
Negli anni 60 e 70, la Thailandia segnava anni di crescita rapida semplicemente invogliando contadini poveri a lavorare in fabbrica, dove la produttività era allora relativamente alta. Ora molti vecchi contadini ritornano ai loro campi di provincia per scappare ai costi proibitivi della vita urbana e approfittare del progetto populista che ha spinto i prezzi del riso oltre quelli del mercato. Curiosamente il gruppo dominante è stato stranamente ottimista circa la mancanza di investimenti.
Un libro bianco sulla strategia economica prodotta sotto gli auspici di un consigliere importante di Thaksin, Pansak Vinyaratn, affermava che “l’ingenuità nativa” avrebbe aiutato a mantenere i risultati in assenza di significativi nuovi investimenti. Lo stesso libro si attendeva che gli investimenti salissero ad un certo punto ed era otto anni fa. “Non penso che essi sanno che è un problema o lo definiscano come problema” dice Supavud riferendosi alla risposta politica alla mancanza cronica di investimenti.
Quindi finora l’enfasi governativa è stata nel dare agli elettori di base maggior potere di spesa nella speranza apparente che più consumi domestici genereranno maggiore produttività. Gli esperti economici sono d’accordo che è importante ricalibrare l’affidamento del paese sulle esportazioni che ora si aggira al 70% del PIL. Credono anche che la politica del governo attuale di innalzare la paga minima per una maggiore condivisione della torta economica non riuscirà alla fine in una economia orientata alle esportazioni e guidata dal mercato. “Non si può regolare con la legge la propria via alla prosperità incrementando per statuto la paga minima” dice Setavut “Se potessi fare così non avresti la povertà nel mondo poiché ognuno regolerebbe per legge la prosperità. Semplicemente non funziona”
Considerato il furore sulle elargizioni e programmi populisti del governo Yingluck, una preoccupazione più significativa è che vari governi non abbiano speso abbastanza sugli investimenti di capitali per la promozione della crescita. Mentre due decenni fa gli investimenti ufficiali di capitali erano attorno al 10% del PIL ora essi sono il 5% secondo alcune misure anche se il bilancio è cresciuto a dismisura.
Investimenti importanti pianificati di capitale, come rete ferroviaria più moderna, potrebbe aiutare se non sono buttati fuori da precedenti spese per promesse elettorali o soggette a lunghi ritardi nelle implementazioni di tali grandi progetti infrastrutturali. L’economista americano Krugman conquistò la notorietà nella regione nel 1994 suggerendo che la crescita asiatico doveva più al sudore e al peso dei numeri che all’ispirazione. Aveva in mod simile meso in guardia l economie della regione nel 1997 che “la produttività non è tutto ma nel lungo periodo è tutto”
Per il 2010 dopo un decennio di investimenti anemici il Fondo Monetario Internazionale avvisò che la Thailandia “ha perso molto del suo precedente dinamismo”. La nascita della Cina e di altri competitori regionali per l’investimento estero diretto ha eroso la precedente posizione della Thailandia come una delle economie aperte ed amiche dell’investimento nella regione.
Secondo Setaphut il problema che assilla molti capitalisti è che molti non intravedono un chiaro cammino.
“Potrebbe essere un po’ esistenzialista. La storia della crescita del paese negli anni d’oro di alti investimenti era abbastanza chiara: erano le industrie ad alta intensità di lavoro che producevano per l’esportazione con il diretto investimento estero da vari posti a condurla. Ma quella storia non va bene ora poiché ci sono altri posti come il tuo come il Vietnam. Dove si dirigeranno tutti i guidatori della crescita di questo paese? Non è chiaro” secondo Sethaput.
E’ duro a vari livelli non ultimo quello politico. Una gran parte dell’elettorato ispirato da messaggi e promesse populiste hanno ora aspirazioni da classe media ma mancano delle conoscenze per competere nell’economia globale. La Banca Asiatica dello Sviluppo ha avvisato lo scorso anno che molte economie emergenti corrono il rischio di finire nella trappola dei paesi di media entrata caratterizzati da sviluppo forte rapido seguito da periodi di stagnazione o declino. Tutti gli indicatori dicono che la Thailandia è ora fermamente incappata in questa trappola senza la visione politica per uscirne.
Populism trumps productivity in Thailand By William Barnes
Il populismo della politica thailandese e la ridistribuzione del reddito
Mentre la vittoria elettorale del Pheu Thai Party non è stata una sorpresa, neanche per il partito democratico, a sorprendere è stata la stragrande maggioranza dei voti conquistata dal partito. Per quella vittoria molti sono stati i fattori attribuiti, uno dei quali la credibilità del partito nel dare quello che si era promesso nelle elezioni.
Poiché quasi tutte le loro politiche sono considerate populiste, i critici sono veloci nell’individuare i problemi associati con questo tipo di strategia. Per esempio si discute che nel lungo termine queste politiche non aiuteranno la popolazione, ma invece, come sussidi, incoraggiano i thailandesi ad attendersi l’assistenza del governo piuttosto che incrementare la produttività.
Le risorse sono allocate fuori dalla sostenibilità ad accrescere il benessere complessivo e così l’assicurare la popolarità politica del partito al governo. L’ultima critica illumina l’importanza della sostenibilità fiscale nelle politiche del Phuea Thai, un problema che garantisce un’attenzione particolare poiché la maggioranza delle risorse coinvolte giungono dai soldi pubblici. Mentre è una preoccupazione significativa e legittima, il peso fiscale delle politiche populiste non è la sola cosa su cui si dovrebbero concentrare i critici. Che piaccia o meno, le politiche populiste sarebbero sempre presenti indipendentemente da chi ha vinto le elezioni, dal momento che tutti i partiti maggiori avevano tali politiche nelle loro piattaforme elettorali. Quello che più importa è se le politiche populiste del PT possano ridurre fondamentalmente le ineguaglianze della Thailandia. Un esame di queste politiche suggerisce che non possono riuscirci.
Si prenda in considerazione la politica del PT sullo schema del riso, per cui il governo del PT comprerà praticamente tutto il riso dai contadini a prezzi almeno del 50% più alti dei prezzi di mercato prima delle elezioni. Il costo fiscale estimato è molto alto, forse il maggiore tra le politiche del PT. E’ un mito popolare che in Thailandia tutti i contadini siano poveri.
Ma questa politica non beneficia davvero i contadini poveri. Gli studi delle politiche del riso sotto Thaksin ha trovato che solo una piccola frazione della spesa sotto questi progetti è adatto ai contadini, dei quali i più ricchi ne hanno beneficiato di più. Una porzione maggiore è andata ai mulini, a chi esportava riso oltre che ai politici corrotti e ai burocrati. Questi gruppi sono tra i più ricchi della società Thai.
Le politiche sul riso quindi possono rendere alla distribuzione delle entrate anche peggio, non meglio. Gli aiuti per la prima casa e per la prima auto non sono chiaramente dei metodi di ridistribuzione: solo il 25% delle più ricche famiglie thai può permettersi un’auto e la maggior parte posseggono auto poco costose di seconda mano, non quelle nuove che il governo aiuta. E persino meno famiglie possono permettersi una casa nuova. Sono politiche che beneficiano i consumatori ricchi e le industrie dei due settori coinvolti. I grossi crediti associati, centomila per l’auto e fino a 500 mila di aiuto per la prima casa, peggiorano addirittura invece di ridurla l’ineguaglianza. Le politiche migliori nel verso di ridurre l’ineguaglianza sono l’incremento del salario minimo e il salario per i nuovi laureati.
Se la paga giornaliera minima da 300 baht al giorno per il lavoro comune è applicata perfettamente, la forza lavoro complessiva guadagnerà 250 miliardi di baht, quasi il 2,5% del PIL, un grosso trasferimento di ricchezza dal ricco verso il povero. Una cosa importante da notare è che la politica potrebbe finire per danneggiare i lavoratori poveri se la paga costringe le ditte, specialmente le più povere, a licenziare operai meno produttivi.
Altre notevoli politiche sono i trasferimenti addizionali verso i fondi destinati ai villaggi, la politica un bambino un tablet, e l’incremento di almeno il 20% nei pagamenti mensili sotto i trasferimenti universali di entrate degli anziani. Le prime due politiche pongono costi unici al governo, mentre l’ultima potrebbe risultare dal 3 al 5 % della spesa totale annua del governo.
Queste politiche non sono rivolte né verso i ricchi né verso i poveri, ma sono universali per loro natura. Gli esempi di sopra mostrano che, in contrasto con la retorica della campagna elettorale, le sue politiche aiutano pochissimo i poveri, ed alcune sono mure mirate ad aiutare i ricchi e le città. Perché si è scelto questo approccio, e perché i più poveri votanti, specie nel nordest e nel nord, rimangono fedeli al partito?
Sulla rima domanda, è possibile che il partito, sicuro di conquistare il voto popolare, mirasse col giro di politiche populiste ad accrescere la propria popolarità nei gruppi sociali a medio reddito e delle città. Sulla seconda questione, potrebbe essere che chi ha votato il partito non lo ha fatto per un interesse in una specifica politica, populista o meno, ma con una fiducia generale nel PT come rappresentanti dei loro bisogni, sia economicamente che politicamente.
L’ironia è che anche se il governo del PT intendesse soddisfare le aspettative dei suoi elettori, potrebbe ritrovarsi con le mani legate dal momento che resterebbe poco spazio fiscale per i poveri dopo aver speso in queste politiche dirette ai più ricchi. Affidarsi alla crescita del debito pubblico non è una risposta anch’essa, dal momento che il costo fiscale in più per mantenere la promessa fatta nelle elezioni da sola potrebbe essere dal 3 al 5% del PIL su base annua.
L’ultima risorsa è di riformare il sistema delle tassazioni per fornire maggiori entrate attraverso una base fiscale più ampia e da altre tasse. Ma facendo così metterebbe la popolarità politica del PT a breve, una cosa cara al PT stesso.