Mentre a Bangkok la protesta si estende con la possibile occupazione di altri ministeri chiave, c’è da registrare un mandato di arresto per Suthep per l’occupazione dei ministeri chiave.
Lo stesso Suthep non sembra prendere seriamente questa accusa, avendone già un’altra sulle spalle per omicidio dei manifestanti del 2010 a Bangkok. Inoltre con la sua decadenza da parlamentare a seguito delle sue dimissioni dovrebbe essere stato riportato in carcere.
In realtà la giustizia in Thailandia non sembra funzionare a perfezione, per cui un anziano malato di cancro accusato di lesa maestà può morire in carcere senza ottenere la cauzione, mentre un realista estremista con condanne di vari anni può pure andare in giro libero. Forse su questo conta Suthep.
Un’altra cosa da sottolineare è una proposta interessante di Suthep: l’elezione diretta dei governatori delle province che attualmente sono nominati, tranne che nell’area metropolitana di Bangkok e Pattaya, dal ministero degli interni e quindi soggetti alla volontà politica centrale.
Benché la proposta di decentralizzazione sia degna di nota e contrasti fortemente con la politica centralista di Bangkok, comune sia al Puea Thai che al Partito Democratico, che cozza anche fortemente con le aspirazioni di un governo locale da parte di tante province a cominciare dal profondo sud di Pattani, va notato che non è stata mai fatta da Suthep quando erano al governo dal 2008 al 2010.
Cionondimeno la nomina dei governatori fatta per elezione rappresenterebbe una reale democratizzazione dello stato centrale ed non una concessione fatta alle colonie lontane. In fondo è anche questo che chiedono molti dei malay musulmani del meridione thailandese.
La Thailandia torna a ribollire, The Economist
La lotta politica in Thailandia che per anni covava sotto la cenere è divampata di nuovo.
Il 25 novembre decine di migliaia di manifestanti legati al principale partito di opposizione hanno marciato verso le istituzioni fondamentali compreso i quartier generali e le stazioni televisive. Hanno invaso alcuni ministeri. Su tutti i giornali campeggiano le fotografie di manifestanti armati di fischietti e bandiere nazionali seduti attorno ai tavoli della conferenza nel ministero delle finanze. Nel pomeriggio del 26 si sono mossi verso il ministero degli interni dove sono rimasti fuori, a a causa della dura vigilanza contro le intrusioni. Nello stesso pomeriggio una corte penale di Bangkok ha approvato un mandato di arresto per il capo della protesta, Suthep Thaunsuban, già ex primo ministro nel governo Abhisit, per l’invasione del ministero delle finanze.
Ci resta la domanda se la Thailandia non sia essenzialmente ingovernabile. Il governo di Yingcluck Shinawatra ha osservato in silenzio estendendo però l’uso delle leggi di sicurezza all’intera capitale ed alle province intorno. Con il calare della notte è stata portata una lampada fosforescente alimentata da un motorino portabile a diesel ad illuminare quel trofeo della protesta. Centinaia di persone sono entrate nell’edificio per ispezionare un’istituzione del governo dall’interno. A qualche decina di metri toilette mobili erano state portate sul luogo come per dire che, se la protesta fosse riuscita a buttare a mare il governo, non lo sarebbe stato per i problemi logistici. I manifestanti appostati fuori dell’ufficio del bilancio cantavano “via il governo di Yingluck”.
Le proteste di massa attuali, le più grandi sin dal 2010, sono l’ultimo passo di una battaglia crescente tra il potere centrale di Bangkok e il clan familiare di Thaksin Shinawatra, l’ex primo ministro miliardario e sua sorella Yingluck primo ministro. Un dibattito di sfiducia è cominciato in parlamento il 26 novembre, un tentativo quasi futile da parte dell’opposizione di cacciare il governo del Puea Thai che gode comunque in parlamento una maggioranza piena. Per l’opposizione dei democratici e dei sostenitori realisti la figura di Thaksin è totalmente inaccettabile. Tra le cianfrusaglie in vendita presso il luogo della manifestazione al Monumento della Democrazia, dove i manifestazioni sono accampati da settimane ci sono materassi rossi a forma di mano con le immagini dei figli di Thaksin.
Suthep si è dimesso dal parlamento insieme ad altri parlamentari democratici per condurre la campagna di “disobbedienza civile” , ed il partito democratico pieno di politici che sanno parlare bene del governo della legge non è certo di quanto vogliano essere associati a questa protesta che sembra voler provocare scontri fisici. ( Ultime notizie dicono che rappresentanti importanti del Partito democratico si siano dissociati dalle azioni ultime che Suthep sta portando avanti anche se non rinnegano lo scopo politico).
L’opposizione ha inflitto due colpi notevoli agli sforzi di Yingluck di riportare la democrazia del paese al periodo precedente al 2006 quando un golpe cacciò il governo eletto di Thaksin. Alcune notti fa l’opposizione ha di fatto sconfitto, con una votazione al Senato dove la maggioranza non appartiene al Puea Thai, una legge i amnistia controversa che avrebbe aperto la strada al ritorno di Thaksin fino ad ora in esilio volontario a Dubai. La stessa legge ha anche fatto arrabbiare i sostenitori di Thaksin tra le magliette rosse perché assolveva quelli accusati di aver ordinato la repressione violenta nel 2010 che ha ucciso 90 persone.
Poi il 20 novembre la corte costituzionale del paese ha dichiarato illegittimi i piani di Yingluck di rendere il Senato un corpo totalmente eletto invece hce parzialmente nominato come stabilito dai militari dopo il golpe del 2006. La sentenza è stata una grande vittoria dell’opposizione che accusava che un senato completamente eletto avrebbe dato al Partito di Yingluck i pieni poteri attraverso il controllo delle due camere. La decisione della corte di porre il veto alla volontà di un parlamento democraticamente eletto ha fatto infuriare il governo che considera il verdetto come una ulteriore prova che la corte agisce per conto di una elite conservatrice che si crede avere i titolo di governare il paese.
Il 5 dicembre il Re compie il suo 86° compleanno ed entrambi gli schieramenti della divisione politica reclamano la legittimazione che spetta loro dalla fedeltà alla monarchia. L’opposizione ha minacciato di usare la legge di Lesa Maestà per abbattere il governo di Yingluck, idea che discende dall’aver sottoposto al re una legge illegittima e di averlo quindi posto in una posizione difficile. A loro volta gli adulatori di Yingluck affermano che i giudici della corte costituzionale avrebbero violato la legge di lesa maestà legiferando su una legge che attendeva la firma del Palazzo Reale.
Se ci si sposta dal sito delle proteste contro Thaksin, nella parte occidentale della città, verso la base dei sostenitori delle magliette rosse allo stadio Rajamangala a 15 chilometri ad est un osservatore forse non si sarà accorto della battaglia in corso per il controllo delle istituzioni democratiche della Thailandia.
I capi delle magliette rosse dicono che spingeranno per un nuovo emendamento costituzionale che permetta la formazione di un comitato che stenda la bozza dell’intera costituzione, una mossa che è un testo del poter del sistema giudiziario. Dopo il golpe del 2006 la corte ha sentenziato contro due amministrazioni a favore di Thaksin cacciandole di fatto dal potere. Il partito democratico si è mosso affinché siano messi sotto accusa gli oltre 300 deputati che hanno approvato la legge di amnistia da parte della Commissione Nazionale contro la corruzione. Comunque sia probabilmente ci sarà un altro partito pro-Thaksin che giungerà al potere ed il processo ricomincerà tutto da capo.
Lo stadio Rajamangla è una sistemazione adeguata per le magliette rosse che sono giunti dalle province a Bangkok. Finora sono rimasti spettatori di quella “Rivoluzione del popolo” invocata dal potere. La vendita delle cianfrusaglie è veloce, orologi con le facce sorridenti di Yingluck e Thaksin sono gli oggetti più venduti. L’atmosfera è carica. Alcuni sostenitori hanno la maglietta con la scritta “Amiamo il principe ereditario”. Confermano le paure segrete peggiori dei politici e dei manifestanti all’altro lato della metropoli: che il palazzo, un’istituzione che resta una parte così importante della manovra politica attuale, ma che non può essere citata, forse non condivide il loro profondo disprezzo eterno per Thaksin.
The Economist