Dal 4 gennaio del 2004 al 31 dicembre 2013 ci sono stati 15192 incidenti mortali dei quali 10662 sono catalogati come insorgenza mentre 1507 come attività criminale. I morti sono 5926 dei quali 3461 sono musulmani e 2431 buddisti.
Le persone ferite sono 10593 metà dei quali sono civili. 4400 sono personale dello stato come poliziotti e soldati tra i quali ci sono 811 morti. 3761 i musulmani feriti e 6694 i buddisti restati feriti. Di seguito un articolo di David Streckfuss sui pericoli della guerra civile in Thailandia ed un’ipotesi di decentralizzazione dello stato Thailandese.
La devoluzione dei poteri dello stato centrale per allontanare lo spettro della guerra civile, David Streckfuss
Mentre la Thailandia si avvicina verso qualcosa che assomiglia molto ad una guerra civile, potrebbe essere l’ora di fare un passo indietro dal dibattito immediato sulle elezioni e le riforme e considerare con molta attenzione da dove proviene questa crisi e in quale direzione potrebbe risolversi pacificamente.
Sin da quando c’era uno stato siamese thailandese alla fine del 19° secolo c’è stata una sola missione fondamentale per tutti: un impulso verso “l’unità” attraverso la centralizzazione elaborata dalla elite di Bangkok. Cercò di legare fisicamente insieme il paese attraverso strade, ferrovie ed una singola amministrazione centrale burocratica.
Ma ancora più importante forse è il tentativo ricercato di creare una unica forma mentale attraverso il concetto di Thailandesità (Thainess). Le identità etniche dissolte. I conflitti religiosi soppressi. Lingue differenti dal Thailandese delle Piane Centrali considerate dialetti. Le scuole possno insegnare solo il thailandese. Una versione unica della storia, quella di una sola razza thai sotto la guida di re saggi, è insegnata.
Secondo vari storici questa politica, disegnata per contrastare il colonialismo occidentale, era anche quella della colonizzazione interna dei thai sulla perifgeria non thai. Molte potenziali divisioni erano nascste sotto il tappeto o apparentemente dimenticate.
Nel 1932 il paese divenne una monarchia costituzionale e ci fu un piccolo spazio temporale quando si discusse la natura e la composizione del governo. Un “Siam” avrebbe creato uno spazio per varie differenze etniche, linguistiche, religiose e per un certo verso politiche, per poter coesistere. Comunque i militari si nominavano protettori della nuova monarchia rivitalizzata agli inizi degli anni 60 e quello spazio di dibattito fu chiuso. “Thailandia” ne uscì fuori vincitrice con una definizione di Thailandesità definita molto strettamente.
In tanti modi questa centralizzazione ebbe successo. Fermò anche fino ad un certo punto la colonizzazione occidentale e la Thailandia si sviluppò. Ma il primato di super urbanità (Bangkok era negli anni 80 sessanta volte la seconda più grande città di Chang Mai) significò che questo sviluppo era fortemente centrato su Bangkok. Amministrativamente era anche fortemente centralizzata.
In un sistema centralizzato le proteste rurali dovevano percorrere centinaia di chilometri ed esercitare la massima pressione, per lo più con dimostrazioni estenuanti, affinché fossero sentite. Si costituivano comitati che scomparivano quando i fragili governi di coalizione dissolvevano il parlamento.
Lo spazio democratico cresceva, prima con sussulti, e poi in modo graduale sotto la costituzione del 1997. Le organizzazioni TAO, organizzazioni amministrative di villaggio, erano un nuovo spazio democratico dove le aree locali con rappresenanti eletti potevano determinare il proprio percorso di sviluppo. Si destinavano una percentuale maggiore di tasse locali per i consigli municipali eletti e c’erano piani affinché alcune province elegessero i propri governatori e le scuole gestite dai TAO.
Con la democrazia che cresceva e con la diversità che trovava eccezioni, il modello di Thailandesità con un governo centralizzato comiciò a stancare e ad andare a pezzi.
Questo processo di decentralizzazione si è interrotto con gli eventi di Bangkok sin dal 2006. Bangkok è come sempre il centro di tutto. Ma deve essere sempre così? La società thailandese deve fare una scelta dura e due scenari le vanno incontro.
Un primo scenario è la guerra civile e lo smembramento finale del paese.
Il PDRC, comitato popolare per la riforma democratica, ha mostrato la sua seria intenzone di prendere ed assumere i poteri governativi. Un annuncio recentedella Associazione del Servizio Civile indica almeno che segmenti della associazione vogliano agire secondo l’agenda del PDRC. Crescono le divisioni. Come pubblicato dallo Strait Times di Singapore le magliette rosse nel nord non accetterebbero un golpe silenzioso del PDRC, e nel peggiore scenario le magliette rosse ed altri gruppi progovernativi del nord “si separeranno dal governo centrale”. A Khon Kaen la radio delle magliette rosse chiama al boicotaggio delle imprese percepite come sostenitrici del movimento antigovernativo a Bangkok fornendo libera pubblicità per quelli che non lo sono.
Si approfondiscono le vecchie divisioni etniche, di classe, linguistiche e religiose. Si è agitato troppo sangue cattivo dalle dimostrazioni del PDRC composte da gente etnicamente thai di Bangkok più ricca e da gente del meridione. I più poveri Lanna del nord e Lao del nordest hanno ascoltato attentamente, con pazienza. Cresce la rabbia. Mentre continua di buon passo l’insorgenza tra i musulmani malay.
Se il PDRC ha successo sotto questo scenario o giunge al potre con un golpe, e le magliette rosse rispondono come uno ci si aspetta, ne risulteranno sofferenze, mancanza di legge e tanto sangue non detto. La fine della Thailandia che conosciamo.
La guerra civile è il solo modo di uscire da questo stallo? E’ davvero questo che gli antigvernativi vogliono?
Un secondo scenario è che si tengono le elezioni del 2 febbraio e che emerge qualche piano di riforma. Ci sono tante possibilità che le elezioni siano fatte cadere in una trappola, ma offre la tiepida speranza che possa essere scongiurato il primo scenario. Ma anche se le elezioni si tengono, ci sarà abbastanza impegno di un nuovo governo a pensare al di fuori di una soluzione centralista guidata da Bangkok?
Se è vero che la gran parte del conflitto politico degli scorsi otto anni sia stato caratterizzato come la soluzione del “chi vince prende tutto”, allora vorrei suggerire di cambiare il centro del conflitto e permettere l’emergere di una situazione parziale vantaggiosa per tutti. Il PDRC ha basato il suo movimento sul buon governo e maggiore coinvolgimento dei cittadini. Le magliette rosse vogliono più democrazia. Allora che fare?
La riforma dovrebbe focalizzarsi sul governo centrale che devolve i suoi poteri in corpi rappresentativi regionali eletti. Alla ffine il controllo locale della salute pubblica, dell’amministrazione del governo, dell’istruzione, della cultura, della lingua e della politica ambientale, della polizia permettono un maggiore coinvolgimento e giudizio pubblico.
In questo modi i manifestanti non devono fare i lunghi viaggi a Bangkok o per lo meno non csì spesso. Il governo nazionale opererebbe sotto una costituzione che assicura i diritti di tutti i cittadini e che affermi le aspirazioni locali e regionali dentro un quadro di insieme dello stato Thai. Il governo riserverebbe alcune aree che richiedono la gestione centralizzata come gli affari esteri, la redistribuzione delle entrate, la difesa e alcune parti della politica ambientale.
Questo quadro decentralizzerebbe i conflitti verso i governi regionali, provinciali e le istituzioni locali che potrebbero rispondere più in fretta e con maggiore sensibilità. Sarebbe qualcosa di più del destinare in loco una maggior percentuale di tasse, o del dover lavorare per i governatori eletti con una burocrazia centrale basata su Bangkok.
L’unità del paese è sempre stata vista attraverso un governo fortemente centralizzato ed un certo livello di coercizione, un modello che ormai non funziona più. E’ tempo di considerare un altro tipo di unità che si basi sull’eguaglianza, rispetto per la diversità e iglior governo basato sul controllo locale e regionale.
Questo potrebbe sembrare confuso, ma certamente meno confuso e coperto di sangue di una guerra civile e di una secessione.
Ul punto è che la società thailandese può decidere su queste come su altre proposte attraverso elezioni ma che sono di per sé insufficienti. C’è bisogno di partecipazione e pressione pubblica per assicurarsi che varie proposte di riforma siano potate su un tavolo che il processo sia trasparente e rappresenti a sufficienza la diversità.
Questa peoposta di devoluzione dei poteri dello stato è solo una delle tante che darebbe a tutti i cittadini impegnati, gialli rossi e di altri colori un campo più gestibile su cui realizzare una visione comune per una Thailandia nuova e più pacifica.
David Streckfuss BangkokPost