Thailandia: Map Ta Phut, inquinamento ambientale e meridione italiano

Map Ta Phut è un’area industriale thailandese tra le più grandi al mondo, localizzata nella provincia di Rayon, Thailandia orientale dove sono operative le più grandi multinazionali nel campo della chimica, della petrolchimica, dell’acciaio e delle industrie di estrazione, dalla Bayer alla Dow Chemical alle grandi industrie thailandesi.

A Map Ta Phut sono presenti 117 industrie di cui 45 petrolchimiche, 8 centrali elettriche a carbone, 12 industrie di fertilizzanti e due raffinerie.

Map Ta Phut

La cittadina di Map Ta Phut ha 20 mila abitanti e il problema dell’inquinamento è venuto a galla già nel 1997 in seguito all’intossicazione di 1000 tra docenti e studenti con esalazioni di gas tossici dalle industrie dell’area.


Uno studio del 2007 attestava come il livello di moltissimi inquinanti, 19 su 20 sostanze cancerogene nell’aria, erano superiori di 3000 volte ai valori di sicurezza delle nazioni sviluppate. Analoga situazione per l’inquinamento delle acque sotterranee da parte di metalli pesanti.

Nel novembre del 2009, il Tribunale Amministrativo della provincia di Rayong, in base alla Costituzione del 2007 promulgata in seguito al colpo di stato del 2006, dichiara che per 65 dei 76 progetti presenti nell’area industriale di Map Ta Phut devono essere fermati in quanto non presentano tutte le valutazioni di impatto ambientale e sanitarie, richieste dalla nuova Costituzione, quali studi ambientali e i riflessi sulla salute, consultazione delle cittadinanze presenti sul territorio in oggetto, parere di esperti indipendenti.

Inoltre la corte provinciale di Rayong ordina alla Agenzia Nazionale per l’Ambiente, con la stessa sentenza, di dichiarare la zona industriale di Map Ta Phut «zona inquinata» come richiesto dalla legge sull’ambiente.
«Non c’è alcuna ragione per cui gli investitori e le industrie pesanti non debbano considerare la salute e l’impatto ambientale dei loro investimenti» si legge nel decreto di sospensione.

Per molti attivisti e militanti, questa sentenza segna un punto importante in una nazione dove ai potenti, nelle province, è possibile fare di tutto: non è piú tempo solo di crescita del PIL ma è anche il momento di valutare gli effetti sulla salute, sull’ambiente e la sostenibilità dei progetti.

L’avvocato che ha seguito il caso, Mr. Srisuwan, sostiene: «Le industrie da ora in poi saranno costrette ad interessarsi oltre che ai profitti anche dell’ambiente e del benessere della gente della comunità.»
«Nella provincia thailandese, non c’è quasi nessuna applicazione della legge» sostiene Anthony Zola, un esperto ambientale americano «Inquinamento dell’acqua, dell’aria, acustico … si possono fare tutte le proteste che si vogliono ma nessuna autorità porgerà un minimo di attenzione»

La sentenza del Tribunale segue alla richiesta fatta da molti abitanti delle zone limitrofe all’area industriale che denunciavano l’elevato numero di casi di cancro nella zona. I casi di leucemia sono 5 volte superiori della media delle altre province; nella provincia di Rayong sono superiori i casi di cancro alla vescica, ai polmoni, al seno, allo stomaco rispetto alle altre province, come denunciato dall’Istituto dei Tumori Thailandese.

Del 2007 è lo studio commissionato ad alcuni ricercatori italiani sui danni al DNA degli abitanti di Map Ta Phut in cui si afferma che i danni genetici alle cellule del sangue sono del 65 % piú alti rispetto agli abitanti di altre zone. Se poi si osservano i dati per i lavoratori della raffineria, la percentuale sale al 120%, una situazione che è rara trovare nel mondo sviluppato, come sostiene Marco Peluso dell’Università di Firenze che dirigeva lo studio.

Un altro studio notava come nel sangue degli abitanti dell’area erano presenti valori inusualmente alti di benzene.

Il costo di questo fermo è stato valutato attorno ai 7 miliardi di euro per i soli progetti a cui si va aggiunta i costi di ricaduta per le industrie dell’indotto. Alcuni ministri dichiarano che sono a rischio almeno 40 mila posti di lavoro. Altra conseguenza è sulle azioni delle varie aziende thailandesi i cui valori scendono nel giro di un mese del 5%. Si parla che la chiusura di questi progetti potrebbe portare ad una diminuzione del PIL pari allo 0,5%

I riflessi sull’economia globale della Thailandia e sulla confidenza degli investitori stranieri sono perciò notevoli, ma questo non tanto per le piú stringenti garanzie richieste, quanto perché in seguito alla nuova costituzione nessuno, nel frattempo, si è mai preoccupato di implementare la legge stessa, di adeguare le procedure e specificare gli standard, con la conseguenza che un adeguamento ai nuovi standard ambientali non è possibile perché nessuno ha detto come fare e cosa fare. Si è creata cosí una situazione di grande incertezza e di vuoto.

«Proprio ora, le industrie non sanno a che santo votarsi. Vogliono rispettare le leggi ma come fanno se non ci sono regole?» dichiara un avvocato rappresentante di alcuni progetti fermati.

Per fronteggiare questa situazione che potrebbe costare alla Thailandia 600 miliardi di Baht di esportazioni, più di 15 miliardi di euro, il governo di Abishit finalmente si mette al lavoro per trovare una via di uscita al problema. La commissione di verifica della Costituzione presieduta da un ex presidente del consiglio, Anand Panyarachun, è anch’essa interessata al problema e propone al governo una lista di 18 attività industriali pericolose che richiedono sia la procedura di impatto ambientale che di certificazione sugli effetti sulla salute.

L’Agenzia Nazionale sull’ambiente, presieduta dal governo, prende in considerazione queste 18 attività ma le taglia ad 11.

Nel frattempo il Tribunale Amministrativo centrale inverte la decisione della corte provinciale, dando via libera a quasi tutti i progetti, ad eccezione di due che ricadevano nella lista delle attività industriali pericolose redatta dal governo. A queste due attività è comunque permesso di chiedere la licenza di operare dopo che avranno ottemperato alle procedure richieste, impatto ambientale ed impatto sulla salute. In entrambi i casi si tratta di processi di espansione che permetterebbero alla Thailandia di dipendere meno dalle importazioni petrolifere e sfruttare il gas naturale nazionale.

La confindustria thailandese sostiene che questa sentenza riduce i rischi legali e di incertezza per gli investitori e che essa si ripropone di promuovere uno sviluppo piú amico dell’ambiente in tutto il paese. Mentre il governo si adopererà per aiutare quei progetti per i quali sono richieste le valutazioni ambientali e di salute, soddisfazione è stata espressa dai grandi gruppi della industria pesante thailandese, Siam Cement Group e PTT, l’ente dell’energia thailandese che ha stipulato con la Birmania un contratto trentennale di importazione di gas,  con le i loro progetti di grandi rigassificatori.

Di diversa opinione sono ovviamente gli abitanti della provincia di Rayon. Le reazioni degli abitanti di Map Ta Phu alla sentenza sono di rabbia. C’è chi ha perso tutti i suoi membri della famiglia a causa del cancro come Signor Noi Jaitang che in lacrime dichiara: «Sono disperato ma continueremo a lottare per la giustizia.».

Sembra che di fronte ai potentati di turno non ci sia modo di far valere la propria voce.

La revoca della lista governativa delle attività 11 industriali pericolose ed il ripristino della lista proposta dalla commissione di Anand, con le 18 lavorazioni pericolose che devono sottostare alle valutazioni ambientali e di impatto sulla salute, sono gli obbiettivi minimi da far rispettare non solo in quel distretto, che deve diventare «zona inquinata da controllare», ma in tutta la Thailandia. Forse con la prima sentenza del settembre 2009 alcune istituzioni thailandesi cominciano a recepire alcune istanze sociali che da secoli sono state represse o negate.

Di certo il movimento popolare non si arresterà e continuerà a dare battaglia.

A vedere bene, la realtà di Map Ta Phut non è solo quella di una remota provincia dell’est Thailandese dove può capitare di tutto. Taranto, la sua zona industriale presenta moltissime situazioni simili. Siamo in Italia, nel meridione pugliese.

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