Lo stato di salute degli stati della Birmania Orientale è stato oggetto di un rapporto di varie ONG di emigrati birmani in Thailandia.
Nell’inchiesta statistica lo stato di salute degli abitanti è stato posto in relazione col rapporto coi diritti umani nelle regioni della Birmania Orientale, gli stati etnici a confine con la Thailandia.
Questa inchiesta, «Diagnosi: critica» è basata su 27 mila interviste negli stati dei Karen, Mon, Shan, Karenni, e nelle province di Pegu e Tenasserim e mette in luce uno stato drammatico delle condizioni di salute e di vita della popolazione.
Quest’area birmana è zona di forte scontro militare tra le varie etnie e il governo birmano che da moltissimi anni mira a rompere i legami che cementano la popolazione civile ai gruppi armati di opposizione mediante la strategia de «i quattro tagli»: cibo, supporto finanziario, coscrizione e informazione.
«L’implementazione sostenuta di questa politica ha comportato una evacuazione forzata, distruzione o abbandono forzato di 3600 villaggi e luoghi nascondiglio dal 1996 al 2010.
Al momento ci sono 446mila persone evacuate solo nelle aree rurali della Birmania Orientale. L’esercito Birmano commette diffusissime violazioni dei diritti umani, che sono state largamente documentate, contro la popolazione civile delle zone etniche.
Lavoro forzato, confisca e distruzione delle riserve alimentari, tassazione arbitraria, tortura, violenza carnale ed esecuzioni extra giudiziali. Considerata la scala con cui questi abusi sono stati commessi e la loro natura continuativa nel tempo, l’inviato speciale dell’ONU per la Birmania, Tomas Ojea Quintana, ha chiesto l’istituzione di una Commissione di Inchiesta per crimini contro l’umanità e per crimini di guerra, iniziativa che ha avuto l’appoggio di vari governi. »
Le popolazioni e gli oppositori rispondono a queste violazioni fuggendo in Thailandia e affollando vari campi profughi lungo il confine con la Thailandia dove trovano il sostegno di varie organizzazioni non governative finanziate da vari governi. Sono almeno 145 mila i profughi birmani in Thailandia.
Ma non si deve credere che questo riguardi solo la zona orientale, in quanto la Birmania ha sempre posto restrizioni, e continua a porle ora, agli invii umanitari nelle zone affette dal ciclone Nargis di alcuni anni fa.
Benché la Birmania abbia entrate commerciali per almeno 2,9 miliardi di dollari derivanti dalla vendita di gas naturale alla Thailandia, spende solo 7 dollari a testa per la salute, l’1,8 % del suo PIL posizionandosi al 138 posto al mondo. Quindi i birmani devono pagare di tasca propria tutte le medicine.
«Dato che in media le entrate annuali pro-capita sono di 1100 dollari, secondo le stime del 2009, e che il 70% se ne va per gli alimenti (una delle situazioni di insicurezza alimentare peggiore al mondo) i servizi ufficiali della salute sono un lusso per pochi birmani…. La mortalità materna è di 240 donne su 100mila nati, quando nella Thailandia se ne anno appena 48. La mortalità infantile stimata dall’UNICEF è di 54 su 1000 nati vivi, mentre la mortalità dei bambini sotto i cinque anni, nel 2009, è di 71 su 1000. »
Le cause più comuni di mortalità infantile sono la diarrea, la malnutrizione, la malaria, le malattie respiratorie acute, tubercolosi e AIDS. Per la Malaria, la Birmania ha il tasso più elevato di morti di tutto il sudest asiatico.
Se poi si vedono i dati nella regione orientale la mortalità materna sale fino a 1200 donne su 100 mila, a causa delle evacuazioni forzate, delle peggiorate condizioni materiali e dell’inesistenza di centri di cura.
«Non potendo accedere ad un sistema di servizio sociale pubblico o all’assistenza umanitaria internazionale, molta gente nella Birmania orientale deve fare affidamento sui programmi di sviluppo per la salute, l’educazione e la comunità istituito e gestito da membri della comunità stessa.» Questi programmi hanno aiutato quasi 376mila persone a cominciare proprio dalla malaria, implementando le raccomandazioni della Organizzazione Mondiale della Salute con distribuzione di medicinali contro la malaria e di tende intrise di insetticida a quasi 30 mila abitanti.
Hanno creato strutture mobili di assistenza alle partorienti coordinate con le strutture dei villaggi creando anche figure di assistenza. 164 ostetriche, 1113 Assistenti tradizionali delle nascite, e sono state assistite 6573 donne con un target di popolazione di 310 mila persone.
Ma quest’inchiesta si è anche occupata della demografia della zona. Leggendo il rapporto si scopre che, mentre il tasso di nascite nell’intera Birmania è 21 nati per 1000 abitanti, nelle zone orientali tale tasso sale a 35. Nelle stesse regioni il rapporto maschi su femmine scende fino a 0,938 nella fascia di età tra 15 e 64 anni quando nell’intera Birmania è di 0,961.
Se si considera come riferimento la Sierra Leone, in cui è endemica lo stato di guerra si scopre che il rapporto è molto simile a quello delle zone orientali, con 0,92. Si nota anche che in queste aree c’è una scarsezza relativa di uomini tra i 15 e 45 come in tutte le zone di guerre decennali, perché reclutati forzatamente dalla giunta militare o impegnata nella lotta armata contro di essa.
Quando si considerano le morti, si vede che la malaria, essenzialmente causata dal pericolosissimo Plasmodium Falciparum, colpisce il 28% dei bambini al di sotto dei 5 anni contro il 25% di tutti seguita a ruota dalle diarree col 17,4% e le infezioni respiratorie acute, oltre alle morti neonatali al 27%.
Va notata inoltre che nelle zone orientali si è già manifestata la resistenza all’artemisina, l’ultimo ritrovato antimalarico. Il problema non è solo birmano, considerata l’estrema mobilità delle popolazioni e dei vettori della malaria: il problema si pone anche per le zone limitrofe thailandesi anche in termini di emigrati birmani residenti in Thailandia. La diffusione dei ceppi resistenti nelle altre zone del sudest asiatico è un fatto che nessun governo può sottovalutare.
Sul piano della salute della riproduzione, il 78% delle donne non usa nessun metodo contraccettivo, il 14,7% delle donne segue le raccomandazioni mondiali sull’assunzione di Ferro durante la gravidanza, mentre il 18% delle donne soffrono di malnutrizione con conseguenti rischi per il nascituro.
Quello che l’inchiesta stabilisce è, come racconta la dottoressa Cynthia Maung:
«I bambini delle famiglie evacuate hanno la probabilità di soffrire tre volte in più di malnutrizione e il tasso di morte dei bambini raddoppiava per le famiglie che erano costrette a lavorare forzatamente per la giunta.»
C’è una correlazione diretta, quindi, tra abusi dei diritti umani e crisi sanitaria.
Le conclusioni del rapporto sono chiare. La continua violazione dei diritti umani contro i civili e il blocco dell’accesso agli aiuti umanitari nelle aree rurali orientali è la causa delle morte premature risultate da malattie facilmente trattabili e prevenibili, e questo pone dei grossi problemi alle nazioni vicine come la Thailandia dove i tassi più alti di malaria si hanno nelle zone a confine con la Birmania.
Oltre la malaria, la tubercolosi e altre malattie infettive stanno mostrando segni di resistenza ai farmaci. La resistenza all’artemisina dei ceppi del plasmodium della malaria è di grande rischio per tutta la zona che ha nella malaria uno dei talloni di Achille.
Il rapporto si chiude con un invito e raccomandazione alla comunità internazionale di trovare il modo per porre fine alle violazioni continue dei diritti umani in tutta la Birmania. Un modo è quello di nominare la Commissione di Inchiesta per i crimini di guerra e contro l’umanità proposta dall’inviato speciale dell’ONU Tomas Ojea Quintana un invito che deve essere colto anche dalla Comunità Europea e dagli stati dell’ASEAN.
BIRMANIA: La lotta alla malaria continua
Sai Yoke, un villaggio lungo il confine della Thailandia e Birmania. Ci vuole appena un quarto d’ora per diagnosticare se è presente il parassita della malaria nel sangue umano nel centro di cura del villaggio. Un ceppo che si sta dimostrando resistente al trattamento si sta diffondendo attraverso le regioni di confine tra Birmania e Thailandia dove vivono molte comunità etniche, ed è un ceppo della forma mortale più pericolosa il Plasmodium Falciparum. Nei centri di confine fanno il test a chiunque mostri segni di febbre offrendo eventualmente il trattamento medico relativo senza spendere nulla nel tentativo di rallentare la sua diffusione.
Secondo studi recenti sulla frontiera tra Birmania e Thailandia si vanno diffondendo ceppi resistenti all’artemisina, il farmaco usato per la cura e la profilassi della malaria. Sia a causa di un uso improprio che per la diffusione di medicinali artefatti, si è sviluppato un ceppo che potrebbe ben presto diffondersi in altri luoghi dell’Asia e del pianeta. Molti studi e finanziamenti, oltre che alla partecipazione forte dei governi, sono necessari per capire l’origine di questo ceppo e la sua parentela con i ceppi presenti attualmente in Cambogia.
Inoltre la preoccupazione nasce dal fatto che lo sviluppo di un’altra medicina per la malaria richiede alcuni anni lasciando campo libero al parassita di diffondersi in altre regioni del mondo specie in Africa dove c’è il più alto numero di decessi: 665 mila persone nel 2010 in tutto il mondo, ma il 90% in Africa. Nell’Asia Pacifico i decessi si aggirano attorno ai 46 mila la maggioranza dei quali nei paesi in cui è endemica la malattia (India, Indonesia, Pakistan, Myanmar e Papua New Guinea)
A causa della mancanza di ospedali lungo la frontiera burmo thailandese e delle condizioni di viaggio interne alla Birmania, i centri lungo la frontiera sono i punti in cui trovare medicine e trattamenti gestiti da personale del villaggio stesso addestrato in tre giorni e finanziato dal Global Fund per la lotta all’AIDS, Tubercolosi e Malaria.
Presso questi centri esiste anche una raccolta precisa dei test e dei cittadini coinvolti e tutti i dati vengono inviati al ministero a Bangkok. A Sai Yoke la malaria è endemica ed anche chi fa le analisi la tiene, e periodicamente, ogni anno, ricorrono le crisi di malaria specie per chi è costretto ad andare nella giungla per lavorare, dormendo all’aperto. Non esiste alternativa che resistere alla febbre alta e ai dolori articolari per recarsi nel centro di Sai Yoke e sottoporsi al trattamento medico di alcuni giorni fino a quando scompare il parassita dal sangue. Ma non tutti hanno questa fortuna e per molti la malaria prosegue per alcune settimane.
Negli anni 70 e 80, i ceppi di malaria, che erano resistenti ai medicinali precedenti come la clorochina, si originarono in Cambogia e si diffusero in Africa via Birmania ed India. I primi casi di ceppi resistenti alla artemisina sono stati trovati in Cambogia lungo la frontiera con la Thailandia, poi ritrovati in Birmania, Vietnam e Thailandia stessa.
“Se non ci interessiamo a questa resistenza succederà quanto già visto con la clorochina, più casi e più morti. Al momento non abbiamo un’alternativa alla Artemisina” dice Fatoumata Nafo-Traore, esperto di aiuti e direttore di RollBackMalaria, un partnership con l’ONU. “Quello che si deve fare è dire: abbiamo una piccola finestra di opportunità per contenerla e facciamolo”.
Una prima sfida è trovare i finanziamenti. In passato sin dal 1994 fu fatta la decisione di escludere la Birmania dal finanziamento, al contrario di Vietnam, Cambogia e Vietnam, nonostante avesse il tasso più alto del peso della malattia nella regione del Grande Mekong. La ragione addotta dai pasi donatori era il rischio che il finanziamento dei programmi poteva andare a vantaggio della giunta militare, ma la nuova stagione riformista in Birmania sembra generare più buona volontà. Il 28 ottobre si sono avuti dei colloqui tra Birmania e Thailandia per discutere la faccenda e fornire il sostegno alla Birmania.
Attualmente il finanziamento nel mondo contro la malaria è di 2 miliardi di dollari ma ce ne vorrebbero almeno il triplo fino al 2015. “Come si fa in un momento di crisi finanziaria? La finestra di opportunità per trattare con la resistenza è molto breve. E fondamentale mobilitare il livello richiesto di risorse per affrontare questa lotta. Deve venire dai governi, il Global Fund e da altri donatori.”
“La resistenza alle medicine antimalariche è una delle più grandi sfide al continuo successo nel controllo e nell’eliminazione della malattia nella zona Asia PAcifico. C’è un urgente bisogno di un’azione coordinata contro la minaccia alla salute pubblica come richiesto nel Piano Globale per il Contenimento della resistenza all’artemisina. Sarà fondamentale galvanizzare l’azione politica e assicurare gli investimenti per implementare un piano di risposta di emergenza per la subregione del Grande Mekong.” ha detto Robert Newman del Programma Global Malaria del WHO.
La resistenza alla artemisina della malaria in Birmania Orientale
E’ da tempo ormai che si stano sviluppando nella regione del Mekong dei ceppi di parassiti della malaria, Plasmodium Falciparum, resistenti alle terapie attuali con l’artemisina, un principio attivo antimalarico derivante dalla pianta dell’Artemisia.
Focolai erano stati rintracciati sulle frontiere birmana e cambogiana con la Thailandia che sono tenuti sotto controllo. Una nuova tecnica monitorizza la mutazione genetica del parassita che produce la resistenza alla artemisina e quindi permette anche la previsione della sua diffusione.
La preoccupazione della comunità scientifica è che una sua diffusione verso il continente meridionale asiatico e verso l’Africa metterebbe a rischio la vita di milioni di persone, oltre al rischio delle popolazioni della zona del Mekong con Laos, Thailandia, Cambogia e Myanmar.
Sul Lancet è apparso un lavoro sulla diffusione della resistenza alla artemisina basata sull’identificazione genetica del ceppo fondamentale della resistenza. Questo lavoro prende bene in considerazione la Birmania che è fondamentale per la via di diffusione della resistenza ai medicinali della malaria come è stato per la clorochina ed altri farmaci. Si legge:
“La Birmania si estende dalla Baia del Bengala al Mare delle Andamane a sud e all’Himalaya a nord, e fornisce perciò la sola via per la malaria del falciparum resistente ai medicinali affinché si diffonda in modo contiguo verso il subcontinente indiano, un percorso seguito dalla resistenza alla clorochina e alla pirimetamina quasi 50 anni fa. La resistenza alla artemisina nel Plasmodium Falciparum è presente sulla frontiera Birmania Thailandia da vari anni, e si conosce la resistenza alla medicina anche nella Birmania sudorientale. Precedentemente non era stata denunciata la prevalenza di parassiti della malaria con resistenza alla artemisina in altre zone della Birmania.”
Lo studio quindi individua varie zone dove sono stati identificati parassiti resistenti in pazienti provenienti da altre zone e da paesi circostanti.
“Si è trovato una forte evidenza che la malaria da falciparum resistente si estende attraverso la Birmania settentrionale compreso le regioni vicino alla forniera indiana nordoccidentale. A paragone la Birmania inferiore e gli stati montagnosi dell’ovest, Rakhine e Chin, hanno una relativamente bassa percentuale di mutazioni, e non ci sono prove di diffusione nel Bangladesh meridionale.”
Lancet aggiunge:
“La diffusione globale della resistenza alla clorochina ha comportato la perdita di milioni di vite in Africa e chiaramente la Birmania è una parte importante della linea del fronte nella battaglia per contenere la resistenza alla artemisina. Questi dati sottolineano la preoccupazione che la resistenza alla artemisina possa seguire i percorsi storici della diffusione della resistenza ai medicinali antimalarici dal sudestasiatico all’India e all’Africa via Birmania. Inoltre aumenti sostanziali di viaggi internazionali e migrazioni potrebbero promuovere la diffusione diretta della resistenza. Uno scenario alternativo è l’emergere localmente di una resistenza al parassita.”
Oltre queste implicazioni mondiali, c’è il problema che la Birmania ha la maggiore incidenza di malaria nella regione, e una resistenza all’artemisina significa anche un peggioramento della situazione medica in Birmania stessa, anche in relazione al fatto che combinazioni di medicinali antimalarici cominciano a mostrare fenomeni di resistenza.
“Tutte queste considerazioni suggeriscono che c’è bisogno di rivedere i trattamenti della malaria. L’uso di regimi di durata superiore a tre giorni o che contengono più di medicinale partner, saranno necessari in tante aree di espansione del Sud Est Asiatico. La velocità con cui si espande geograficamente la resistenza all’artemisina è più veloce del tasso a cui le misure di controllo ed eliminazione si sviluppano e istituiscono o a cui nuovi medicinali si introducono.
C’è bisogno di uno sforzo vigoroso internazionale per contenere questa minaccia”
Lo studio mostra che la diffusione di questa resistenza si ha in zone in cui non era stata ancora riconosciuta e che si presenta anche in mutazioni differenti nuove.
Essa si presenta alla frontiera con l’India, nella regione birmana di Sagaing a 25 chilometri dalla frontiera indiana.
Nel 2013 si sono verificate 584 mila morti per malaria su 198 milioni di casi, il 90% di tutti i casi di morte in Africa dove sarebbero morti 437 mila bambini sotto i cinque anni.
Per eliminare la malaria per il 2030 nella regione del Mekong che include anche lo Yunnan cinese, ci vorranno almeno 4 miliardi di dollari in 15 anni o una media di 2 dollari USA procapite per la popolazione a rischio.