Il primo dicembre mi sono trovato io stesso in quella posizione. Da accademico di una facoltà di scienze politiche che si trova nel cuore dell’opposizione all’attuale governo, ero comprensibilmente circospetto.
Mentre ci avvicinavamo alla base militare di Ubon Ratchathani mi tornavano in mente le storie che altri avevano raccontato sull’incontro con i militari nei mesi precedenti.
Il numero di cittadini “invitati” per una “modifica del comportamento” si aggira sulle centinaia, sebbene rimanga ancora poco chiaro l’esatto numero. Alcuni hanno denunciato abusi dei diritti, ma questi sono spesso difficili da provare e questo ha incoraggiato varie speculazioni. Anche, molti di questi rapporti sono stati resi più sensazionali a scopo politico, dal momento che entrambe le parti della divisione socio politica del paese hanno cercato di fare qualcosa di sensazionale a scopo politico nella battaglia per influenzare il dibattito pubblico.
Devo riconoscere che quel giorno fummo trattati con rispetto per tutto il tempo nella base. Eppure questo non lo si può considerare prova che viene garantita la libertà accademica sotto l’attuale amministrazione. Ed è particolarmente vero dato il crescente numero di attività accademiche che sono soggette ad una stretta sorveglianza e scrutinio dei militari.
Poiché la Thailandia tenta di affrontare e correggere i fallimenti storici che hanno portato il paese a questo punto, c’è bisogno di discutere continuamente l’importanza della difesa della libertà degli accademici e degli studenti. Nella storia moderna di questo paese, difensori celebrati di queste libertà hanno riconosciuto la responsabilità che deriva con il parlare apertamente.
Nel tentativo di guarire la divisione sociale, università, studenti ed accademici hanno un ruolo fondamentale da giocare nell’aiuto a trovare strade che passino le barriere culturali attraverso il sostegno di un dialogo pubblico vigoroso ma anche tollerante. A questo fine un processo di apprendimento, che più apertamente esplori le idee e le esperienze di chi vive in Thailandia e fuori di essa, porteranno più creatività all’area della soluzione del problema.
Mentre ci si sforza di evolvere verso un sistema democratico possibile, si deve raggiungere un nuovo livello di comprensione. La democrazia non è solo elezioni. La Thailandia deve fare molta strada nello sviluppo di un coinvolgimento politico sociale più informato, dove i cittadini mantengano il diritto a parlare apertamente affinché un governo possa rispondere dei propri atti.
Se si considerano le attività accademiche una minaccia alla sicurezza dello stato, allora tutti quanti dovremmo preoccuparci del futuro delle riforme. Milioni di Thai hanno posto la loro speranza nelle riforme per traghettare il paese in una situazione migliore. Ma la domanda è se il paese possa fare progressi reali senza libertà di studio ed intellettuali che sono interne alla libertà di espressione.
E’ vero che talune decisioni recenti dei militari sono sembrate, senza alcuna necessità, arbitrarie e automatiche. Ma dovremmo riconoscere la loro difficoltà in tutto quello che succede in un momento quando si adattano, per il meglio o per il peggio, al loro ruolo nuovo di chi applica una politica forgiante senza un mandato democratico.
Sfortunatamente questo ha solo esasperato la divisione della relazione tra cittadini e stato, ed è in questo contesto che le manifestazioni degli studenti thai hanno guadagnato l’attenzione internazionale.
Le cose sono cambiate in peggio in seguito alle proteste del gruppo degli studenti di Dao Din contro il primo ministro Prayuth durante la sua visita alla provincia di Khon Kaen il 19 dicembre. Non sorprende che sin da allora i militari abbiano posto più attenzione alle attività accademiche.
I militari hanno chiesto alle università del nordest di mantenere gli studenti militari sotto controllo affermando che Dao Din pianifica una rete di protesta regionale contro il governo e NCPO. I critici puntano a questo come prova dell’eccessivo desiderio di controllo dei militari.
Questa mentalità di controllo è stata probabilmente esasperata dai crescenti dubbi dentro i militari della sua capacità di mantenere la fiducia pubblica secondo cui la loro continuata autorità è sia necessaria che giustificata. Tutto questo è il risultato di sei mesi di tentativi mediocri e non persuasivi di convincere le agente che stanno facendo progressi sufficienti nel riportare la democrazia nel paese.
Il nostro incontro con i militari si soffermò sulla posizione ed il ruolo delle nostre università. Fu alquanto sollevante che la discussione prese forma di un dialogo aperto, e fu significativamente più informativo e costruttivo di quanto avevo presagito.
Nel riconoscere la necessità di una riforma, e con essa il bisogno di sentire tutte le voci, un dialogo aperto che permetta concessioni e compromessi permette alle parti differenti l’opportunità di fare rinunce e di ricostruire la fiducia. Questo deve essere qualcosa di meglio del rischiare ulteriori rinunce e con loro un senso più velenoso e pernicioso di sfiducia pubblica.
Una crescita del confronto e della soppressione che porti ad una tragedia simile al massacro degli studenti del 1976 a Bangkok è qualcosa che nessuno vuole vedere.
La recente storia globale ci dà tantissimi esempi di autorità che si sono indurite sempre di più nel tentativo di sopprimere elementi radicali. E il terreno di battaglia è stato spesso nelle università dove studiosi e studenti sono stati talvolta presi a bersaglio.
Nel caso thailandese con dei risultati ancora incerti, tutte le parti sono responsabili per lavorare verso una comune comprensione prima che l’incomprensione accresca ulteriormente le tensioni.
Alla fine gli studenti e gli accademici thai potrebbero essere di aiuto a progredire tra lo status quo antidemocratico agendo per innalzare lo standard del dibattito sociale attraverso la forza di argomenti ragionati.
Di contrasto il lancio drammatico, e forse futile, di slogan fornirà probabilmente a chi ha uno zelo più autoritario le munizioni di cui hanno bisogno. Questo porterà solo ad una ulteriore repressione delle voci du chi continua a porre legittimamente la questione di che direzione sta prendendo il paese.
Titipol Phakdeewanich, politologo presso Faculty of Political Science, Ubon Ratchathani,Thenationmultimedia