Per tanti versi la crescente presenza militare americana a Mindanao è un grande colpo di scena per un paese il cui presidente minacciò di espellere i soldati americani dalla sua isola solo alcuni mesi prima.
Avere un comune nemico è il modo speciale per costringere a riabbracciarsi due amici ormai lontani.
E’ per molti versi quello che accade alle relazioni bilaterali tra Filippine ed USA nel momento in cui entrambi i paesi affrontano il rischio di avere un califfato islamico nel sudestasiatico.
Per tutto il primo anno di presidenza il presidente filippino Duterte non ha mancato mai di colpire Washington per promuovere il suo unico approccio alle relazioni estere da Asia agli Asiatici.
Eppure, poco dopo le visite importanti consecutive a Pechino e Mosca, che facevano parte della sua ricerca più vasta di una politica estera indipendente, il loquace presidente filippino si è trovato di fronte un assedio totale a Marawi, la città a maggioranza musulmana più grande del paese, da parte di centinaia di militanti legati all’ISIS guidati dal noto gruppo Maute.
I combattenti stranieri, provenienti da paesi lontani come la Penisola Arabica e il Caucaso, per il terrore del governo filippino, sono coinvolti nell’attacco a Marawi. E’ il primo grande tentativo degli adepti regionali dello stato islamico di ritagliarsi un territorio reale ed esercitare un controllo su una popolazione vasta nel sudestasiatico.
In risposta Duterte ha descritto la situazione come una invasione totale e ribellione, e ha dichiarato la legge marziale nell’intera Mindanao.
Con la sua facile minacciosa retorica Duterte avvisò che sarebbe stato duro e ottuso come l’ex uomo forte filippino Marcos che governò il paese col pugno di ferro per tutti gli anni 70 e 80. Il presidente chiarì anche che non si sarebbe tirato indietro dall’estendere la legge marziale nell’intero paese per “proteggere il popolo” contro la minaccia del terrorismo.
Il severo presidente filippino fece la sua campagna presidenziale con la promessa di liberare il paese dalla droga e dalla criminalità, ma anche di portare pace e sviluppo all’isola martoriata meridionale. Si presentò infatti come la voce autorevole dei Moro, filippini musulmani. “Se diventerò presidente sistemerò Mindanao” gridava Duterte nella sua forte retorica da campagna elettorale oltre un anno fa. “Io, se divento presidente, se Allah mi benedice, prima che muoia poiché sono vecchio, lascerò a tutti voi una Mindanao governata in pace”.
Eppure, dopo un mese passato in guerra a Marawi, il governo filippino lotta ancora per liberare la città da una legione ibrida di jihadisti filippini ed internazionali. I militari filippini, che non hanno esperienza nella guerriglia urbana, hanno dovuto radere al suolo vaste parti di Marawi per salvarla dallo Stato Islamico. Negli ultimi giorni il BIFF, un altro gruppo di Mindanao affiliato all’ISIS, ha lanciato un assalto importante a Cotabato Settentrionale contro una scuola elementare facendo ostaggi in varie zone.
L’ultimo scoppio di violenza in tutta l’area è considerata sempre più come parte di uno sforzo maggiore da parte dei jihaditi di stabilire una provincia del ISIS nella regione.
Riconoscendo la profondità della crisi il governo filippino ha cercato l’assistenza esterna. Come il segretario dell’ufficio stampa presidenziale, Martin Andanar, disse all’autore alla fine di maggio, il governo combatte “il flagello e l’ideologia dello Stato Islamico” che minaccia l’intera regione. Dopo alcune settimane nella battaglia di Marawi i militari filippini ricercarono l’assistenza americana e il Pentagono fornì mezzi per l’intelligence in tempo reale inviando le Forze Speciali che diedero addestramento e assistenza tecnica per favorire operazioni più efficaci.
Il Pentagono offrì anche tantissimi lanciagranate, fucili automatici e mitragliatrici attraverso un finanziamento di 150 milioni di dollari per “rafforzare le capacità antiterroristiche e aiutare a proteggere chi era attivamente coinvolto nelle operazioni antiterroristiche di Marawi”
I militari filippini erano particolarmente in difficoltà dai militanti dell’ISIS per l’uso degli Oggetti Esplodenti Improvvisati e per i cecchini posizionati strategicamente, mentre incursioni aeree di vasta scala portavano a perdite per fuoco amico e preoccupazioni per le perdite di vite civili. Le Forze Speciali ed i droni volevano aiutare il governo filippino con questi ostacoli operativi.
Mosca e Pechino non hanno l’esperienza nel campo dell’antiterrorismo come quella di Washington, alla guida attuale della coalizione contro l’ISIS in Siria ed Iraq. Dal 2002 un vasto contingente di forze speciali è di base a Mindanao in aiuto del governo filippino contro vari gruppi estremisti locali che operano nell’area.
L’ammiraglio Harry Harris, comandante dell’USA Pacifico, mi disse in uno scambio di opinioni pubblico a latere di un grosso summit della sicurezza: “Siamo coinvolti in attività a Mindanao per aiutare le Forze Armate Filippine nella lotta contro l’ISIS nelle Filippine. Credo che sia un riconoscimento di quanto sia per noi importante la relazione con le Filippine”.
Per tanti versi la crescente presenza militare americana a Mindanao è un grande colpo di scena per un paese il cui presidente minacciò di espellere i soldati americani dalla sua isola solo alcuni mesi prima.
Duterte ha persino implicato che i militari filippini in modo unilaterale cercarono l’assistenza americana senza la sua approvazione preventiva. Con tono allegro Duterte si lamentò: “Questo è davvero il loro sentimento, che i soldati sono davvero pro-americani non lo si può negare”
Un’analisi più precisa mostra comunque che Duterte ha sempre riconosciuto non solo che i militari preferiscono mantenere legami robusti con l’America, ma anche la sua necessità strategica.
“Come abbiamo lottato insieme per superare il nemico, allora dobbiamo aiutarci l’un l’altro per affrontare le minacce che la nostra società, la regione ed il mondo hanno di fronte” disse Duterte riferendosi alla lunga storia di cooperazione militare tra Filippine ed USA solo alcune settimane prima dell’attacco a Marawi.
Nonostante i suoi sproloqui antiamericani il presidente filippino è stato incoraggiato dalla retorica amichevole, se non del tutto simpatetica, della Casa Bianca, che ha promesso “sostegno ed assistenza agli sforzi contro il terrorismo delle Filippine”, da fiero alleato.
Un nuovo colpo di scena nella già volatile geopolitica asiatica.
Richard Javad Heydarian, nationalinterest.org