Dieci anni sono passati da quell’orrendo massacro di 58 persone, di cui 32 giornalisti, a Maguindanao nelle Filippine Meridionali, e finalmente la giustizia filippina ha emesso il verdetto di colpevolezza per il massacro di Maguindanao, verdetto atteso da tutti, per la maggioranza degli esponenti del clan degli Ampatuan.
Sono stati condannati i fratelli Ampatuan, Andal e Anwar, per 57 omicidi compiuti il 23 novembre 2009 a 40 anni di carcere, mentre il fratello Sajid Islam è stato prosciolto. I due fratelli resteranno in carcere per altri 30 anni visto che hanno già scontato dieci anni in attesa della sentenza senza la possibilità di uscire né su cauzione né per buona condotta.
Delle vittime, solo di una persona non si è riuscito finora a rintracciare il cadavere, Reynaldo Momay, benché si fossero trovati i suoi documenti, e la sua scomparsa lascia in molti una certa amarezza.
La giudice Jocelyn Solis Reyes ha condannato 28 persone a 40 anni di carcere per 57 omicidi, 15 persone a condanne tra 6 e 10 anni di carcere per complicità e ha rilasciato 55 persone. La giudice ha ascoltato 357 testimoni, esaminato 238 faldoni giudiziari, in oltre 430 giorni di processo, dopo che altri giudici avevano rinunciato per varie ragioni a presiedere il processo.
Per altre 80 persone che fuggirono all’indomani della strage, delle quali secondo Human Rights Watch erano militari e ufficiali di polizia e alcuni dei quali avevano lavorato come scorta di Andal Ampatuan, la corte ha ordinato il mandato di arresto, mentre i militari filippini credono che si trovino tra le file del BIFF in qualche parte inaccessibile di Mindanao.
Le 58 persone costituirono un convoglio di auto che scortava la moglie Genalyn dell’aspirante governatore Esmael Toto Mangudadatu a consegnare il certificato di candidatura alla capitale provinciale di Sherif Aguak. Tra le 58 persone c’erano 32 persone che lavoravano nei media e la loro presenza era stata ritenuta un modo per prevenire possibili imboscate.
E’ stato ritenuto il massacro di Maguindanao l’attacco più mortale contro i giornalisti in tutto il mondo e il caso peggiore della violenza connessa alle elezioni nella provincia filippina.
A condannare il potentissimo clan degli Ampatuan sono state in particolare le testimonianze di un politico e di un cameriere che testimoniarono di aver visto i fratelli Ampatuan partecipare a vari incontri in cui pianificarono il massacro, almeno quattro mesi prima di quel novembre 2009. L’esecutore materiale è stato considerato in Andal Apatuan.
I parenti delle vittime per anni hanno portato avanti la battaglia legale nonostante le tante minacce ricevute dai sicari ancora uccel di bosco e benché costretti in molti ad abbandonare Mindanao per paura di vendette. In molti hanno anche ricevuto dal clan degli Ampatuan offerte di grandi somme di denaro per ritirare le denunce
Hanno espresso contentezza per le persone condannate, ma anche scetticismo per l’assoluzione di uno degli Ampatuan, Sajid, che attualmente è vicegovernatore di Maguindanao.
Il presidente del CEGP, College Editors Guild of the Philippines, ha detto che questo verdetto è un passo nella direzione giusta anche se l’impunità in tutte le Filippine peggiora:
“Le condizioni che hanno fatto la strada per il brutale massacro degli Ampatuan continuano ad esistere specialmente nella cultura di impunità che peggiora nel paese” ha detto Daryl Angelo Baybado il quale ha aggiunto come questa sentenza di colpevolezza degli Ampatuan sia un messaggio forte di giustizia per cui gli oppressi possono lottare e trionfare contro chi abusa dei propri poteri.
Human Rights Watch ha ricordato che gli 80 latitanti costituiscono ancora una minaccia per i testimoni e per le famiglie delle vittime.
“Le famiglie delle vittime e dei testimoni di Maguindanao saranno a rischi fintanto che i sospettati restano liberi” ha detto Phil Robertson di HRW Asia: “Indipendentemente dal verdetto, le autorità filippine devono arrestare varie decine di sospettati ancora latitanti”
Una avvocatessa di 38 vittime Nena Santos ha ricordato di aver ricevuto oltre un centinaio di minacce in dieci anni in cui è stata coinvolta nel caso. Le minacce erano fatte attraverso sms e telefonate anonime, ma anche casi in cui sono stati inviate persone di fiducia.
“Continuano a minacciare, intimidire, ecco perché la polzia deve arrestare i sospettati che restano in giro” ha detto Nena Santos a HRW.
Tre testimoni sono stati uccisi in questi anni: Suwaib Upham nel 2010, Alijol Ampatuan nel 2012 e Denex Sacal nel 2014, ma la loro morte resta tuttora senza colpevoli.
Human Rights Watch ricorda anche che il tempo impiegato si spiega con l’alto numero di vittime, di accusati e di testimoni del processo, e che comunque è stato per questo un processo veloce.
La Corte Suprema filippina creò una corsia speciale per il processo che ha accorciato i tempi biblici della giustizia filippina e che potrebbe essere un modello di lavoro per una riforma del processo penale filippino, anche in considerazione dei processi di appello che saranno lanciati.
“Non deve volerci un altro crimine così efferato come il massacro di Maguindanao per fare una riforma della giustizia” ha detto Phil Robertson. “Ma le riforme reali richiedono alla polizia di arrestare i presunti criminali, ai giudici e accusa di rispettare i diritti degli indagati e tenere alta la legge ed ai politici eletti di dimostrare la propria volontà politica”
Nelle Filippine di oggi il verdetto di colpevolezza per il massacro di Maguindanao è comunque una vittoria, secondo Carlo Condè di HRW Filippine, “un raro trionfo per la responsabilità in un paese noto per la sua impunità e dove politici e signori della guerra possono farla franca sempre, omicidio compreso”
Dopo aver ricordato che si devono arrestare 80 latitanti per togliere dal pericolo e dalle minacce i familiari delle vittime ed i testimoni, Carlos Condè si domanda della possibilità che accada un altro massacro di Manguindanao.
“Ho paura che, finché il governo nazionale ignora se non addirittura coccola le potenti famiglie locali con i loro eserciti privati, di Massacri di Maguindanao futuri saranno inevitabili. Finché non ci si potrà fidare di polizia e militari nello smantellare le forze illegali dei politici invece che prendervi parte, chi prova ad esercitare i diritti fondamentali, come candidati di opposizione, giornalisti o semplici cittadini sarà sempre a rischio. Temo quindi che queste condanne non capovolgano la cultura politica disfunzionale del mio paese. Ma oggi almeno è stato una giornata di giustizia”
Da notare le dichiarazioni del palazzo presidenziale affidate a Salvador Panelo. Nel 2014 Panelo assunse la difesa degli Ampatuan per somme modiche e fece pericolose iniziali dichiarazioni di prove prefabbricate. Poi lasciò la difesa ed ora lo troviamo a portavoce di Duterte.
Traduciamo due tweets del Inquirer esemplificativi della sua conferenza stampa
Panelo: Il massacro di Maguindanao segna un capitolo oscuro della storia recente filippina che rappresenta una crudele negazione della sacralità della vita umana come anche della violenta soppressione della libertà di stampa.
Panelo: Questo selvaggio affronto ai diritti umani non deve avere mai un duplicato nella storia del paese. Questo evento è uno dei fattori che ha spinto il presidente ad ancorare la sua presidenza sulla protezione e mantenimento della legge ed ordine nell’intero paese.
Panelo però non ha espresso alcun parere personale in merito al verdetto di colpevolezza per il massacro di Maguindanao.