Il titolo di testa di un giornale legato al governo, all’inizio della settimana, titola: “Capo di un gruppo reazionario condannato all’ergastolo”.
Con questo titolo si ha subito l’idea di come lavorano i media nello stato a partito unico dove gli scritti online hanno riempito un vuoto. Nei media di regime, gli argomenti quali lotte di potere dentro il partito comunista al governo e le relazioni con la Cina sono un tabù, e le sfide al governo autoritario sono licenziate con frasi da vecchia Unione Sovietica.
Uno specialista sul Vietnam dell’Università Nazionale australiana ha detto: “Ho la sensazione che internet ha migliorato la conoscenza e la coscienza tra tanti vietnamiti, specie i più giovani e le popolazioni urbane sulle pecche a vari livelli del governo. Tanti vietnamiti prendono le notizie da varie fonti che vanno dai giornali del governo ai blog non autorizzati ai giornali internazionali.”
Ma le nuove misure che si stanno prendendo in considerazione potrebbero rafforzare le restrizioni sui vietnamiti che vogliono dire la loro online.
Nell’aprile del 2012 il Ministro dell’Informazione e comunicazione ha introdotto un decreto suula Gestione, Fornitura, Uso dei servizi internet e contenuti di informazione online che nella sua prima lettura costringerebbe i fornitori di accesso esteri ad aumentare la cooperazione con le autorità vietnamite rimuovendo i contenuti ritenuti illegali e potenzialmente ospitare i centri dei dati dentro il paese. Il codice proposto richiederebbe agli utenti di usare i nomi reali online gelando così la libera espressione.
Phan Van Thu, il capo del gruppo a cui si riferivano i titoli, faceva parte di un gruppo di 22 persone considerate sovversive dal governo Vietnamita. Il resto del gruppo ha avuto condanne da dieci a diciassette anni, assegnate da una corte del popolo nella provincia di Phu Yen dopo un processo di una settimana.
Per i media vietnamiti, “gli accusati dirigevano un’organizzazione politica reazionaria tra il 2004 e il febbraio 2012 che operava come un braccio di una compagnia di ecoturismo”. Inoltre il resoconto sosteneva che il gruppo “riceveva contributi finanziari da un numero di vietnamiti all’estero”, cosa considerata un punto importantissimo dal governo vietnamita.
La stampa internazionale, per contrasto, riportava il gruppo descritto conosciuto come “Consiglio di Bia Son per la legge pubblica e gli affari” come dissidenti o attivisti, gli ultimi di una parte di una deriva del Partito comunista vietnamita per abbattere i gruppi che sono in disaccordo su come è gestito il paese. Per i Vietnamiti accusati di avere legami con organizzazioni di base all’estero, che il partito vede come minaccia al proprio potere, si consideri Viet Tan statunitense, il carcere è di solito il risultato.
L’autore del libro “Vietnam: Rising Dragon”, Bill Hayton, ha dichiarato a Mediashift: “mentre l’apparato di sicurezza vietnamita si prepara a tollerare la protesta e la critica è assolutamente intollerante dei dissidenti che lavorano con le organizzazioni estere specie quelle di base negli USA. Credo questo gener di comportamento e le sue decisioni su quali dissidenti arrestare è inteso tirare una chiara distinzione tra dissenso legittimo e tradimento illegittimo”.
Agli accusati era stato assegnato un avvocato dello stato, Nguyen Houng Que che dopo “il verdetto ha detto che la sentenza era adeguata ai loro crimini”.
La cosa intrigante è che il gruppo descritto dagli attivisti dei diritti umani come seguaci di Nguyen Binh Khiem, una versione vietnamita del XVI secolo di Nostradamus che “sognava di costruire una nuova ‘Utopia’ in cui scienza, natura e umanità sarebbero bilanciate in modo armonioso”.
A gennaio 14 attivisti e scrittori furono condannati a 13 anni di carcere sebbene nel frattempo il governo Vietnamita avesse liberato il cittadino statunitense e membro di Viet Tan Nguyen Quoc Quan dopo nove mesi di prigione. La cosa fu seguita a febbraio dalla liberazione dell’avvocato Le Cong Dinh che era detenuto dal 2009.
Nonostante i rilasci la situazione dei diritti umani in Vietnam peggiora sempre di più, dice lo studioso Carl Thayler, un prolifico commentatore della politica Vietnamita: “Solo questo anno almeno 36 persone sono state condannate alla prigione con accuse false di tentare di capovolgere lo stato socialista”.
Quando i cittadini danno vice alla rabbia su problemi come la corruzione e il sequestro della terra nel Vietnam, sono talvolta tollerati, talvolta no, in quello che è una cultura legale opaca. Talvolta giornalisti nei giornali di regime affrontano queste questioni, sebbene non sia chiaro fino a che punto tale indagine sia approvata in anticipo dalle autorità, fino a che punto non siano legate alla lotta delle varie fazioni, o a vendette nel Partito. Ma per alcuni che hanno parlato candidamente di presunte pratiche sbagliate del governo, il risultato è spesso il carcere. Le Anh Hung fu arrestato a fine gennaio ed è detenuto in ospedale psichiatrico ad Hanoi, una pratica che ci ricorda l’era sovietica. Le fu poi liberato il 5 febbraio.
Le Quoc Quan, un avvocato di Hanoi, parlò a MediaShift nel 2012 sull’importanza dei media online in Vietnam dove la stampa e la TC sono legati o gestiti dal Partito Comunista, il solo partito politico del paese. “La stampa dei cittadini, quella non ufficiale, che usa i social Networks, SMS, Facebook, ed i blog in uno sviluppo continuo giocano un ruolo sempre più importante nella società”. Le Quoc Quan fu arrestato alla fine di gennaio per accuse fiscali con accuse pretestuose e tenuto da allora in isolamento.
Le risorse online hanno riempito il vuoto creato dai media di regime ma anche quelli ora sono minacciati.
Per i vietnamiti già soliti alle restrizioni il codice proposto richiederebbe che gli utenti usino i loro nomi veri online e per i blogger di postare i nomi reali e le informazioni di contatto sui loro blog, un potenziale escamotage per quei vietnamiti che non volendo andare in carcere e volendo scrivere onestamente usano gli pseudonimi quando scrivono online.
Un fattore motivante nel tentativo del governo in questo punto, motivo rifiutato dopo, è che la figlia del primo ministro Nguyen Tan Dung ha investito in uno sviluppo edilizio controverso fuori Hanoi. Comunque la bozza iniziale conteneva un articolo pigliatutto apparentemente diretto a scoraggiare i commenti che mettevano in dubbio il governo, proibendo agli utenti di internet di “minare la grande unità di tutta la gente” o di “minare le tradizioni e gli usi buoni della nazione” come pure di “abusare della legge e dell’uso di Internet e dell’informazione.”
Subito dopo l’annuncio del decreto, dodici legilsatori americani, repubblicani e democratici, scrivevano su Facebook, Google e Yahoo, dicendo: “Vi invitiamo fermamente a difendere le libertà di parola ed espressione per i cittadini del Vietnam continuando a fornire le vostre tecnologie alla gente del Vietnam in un modo che rispetti la libertà e la Privacy”.
Parte della ragione per cui il governo del Vietnam sembra così intento nel reprimere chi suggerisce una forma alternativa di governo sia economica. Numerosi scandali di corruzione e rallentamento dell’investimento estero costrinsero il partito al governo,infatti, lo scorso autunno ad una scusa pubblica creando le congetture che se la economia stagnasse nel lungo termine più vietnamiti avrebbero potuto mettere in dubbio lo stesso governo del partito unico.
Ma mordere troppo il freno sul web potrebbe rivelarsi controproducente per “l’economia emergente” del paese. Secondo una ricerca di McKinsey in nove paesi emergenti tra i quali il Vietnam, Internet “contribuisce ad un medio 1,9% del PIL nei paesi emergenti”.
Simon Roughneen, PBSMediashift