Una boccata di aria fresca è stata la visita del monaco buddista U Bandatta Seindita, fondatore di Asia Light Foundation, presso una casa di preghiera temporanea musulmana a Yangoon, Birmania
Una folla di un centinaio di birmani autodefinitisi patrioti, tra i quali vi erano alcuni monaci buddisti, si erano presentati alcuni giorni fa presso una casa di preghiera temporanea musulmana nel quartiere di Dagon Sud a Yangoon in Birmania.
Erano arrivati armati di mazze e coltelli in macchina e con le moto per domandare che non si facessero più le preghiere serali per il Ramadan in tre case che la comunità musulmana aveva istituito come luogo di culto temporaneo dopo aver avuto il permesso dalle autorità cittadine locali.
“Un centinaio di persone sono venute e ci hanno interrogato con gli amministratori locali ed il capo della polizia. Abbiamo chiuso la casa di preghiera anche se avevamo il permesso dal governo dello stato di tenere le preghiere per un mese durante il Ramadan. Abbiamo anche la lettera col permesso”.
Il 14 maggio un’altra folla tra cui erano presenti alcuni monaci hanno tentato di chiudere un’altra casa di preghiera sempre a Dagon Sud a Yangoon.
La costituzione birmana, istituita dalla giunta militare nel 2008, garantisce la libertà di religione ed il diritto a praticarla, insieme alla lingua, la letteratura e le tradizioni senza pregiudizio delle relazioni tra le razze nazionali e le fedi.
In tutti questi anni si è potuto capire che la realtà è ben diversa e che nei confronti delle popolazioni musulmane c’è una paura di fondo alimentata dall’estremismo nazionalista buddista, secondo cui i musulmani aumentano nel paese minacciando le sue radici buddiste.
Quando poi si considera la popolazione Rohingya musulmana, questo estremismo è diventato pulizia etnica ed oltre un milione e mezzo di Rohingya sono stati costretti a fuggire negli anni in Bangladesh.
“Non ci accetteranno mai. Negano la nostra esistenza, ci considerano migranti clandestini” ha detto un noto avvocato Rohingya ad Al Jazeera.
La tensione creatasi ha trovato un momentaneo sollievo, nel giorno successivo, con la visita del monaco buddista U Bandatta Seindita, fondatore di Asia Light Foundation del monastero di Pyin Oo Lwin.
Si sono seduti tutti insieme i membri delle differenti fedi verso le dieci della sera per incoraggiare tutti a coltivare “empatia, gentilezza, compassione e tolleranza”.
Durante i giorni caldi di Yangoon nel 2013, quando scoppiarono le violenze interreligiose, alcuni monaci buddisti, tra cui U Bandatta Seindita, riuscirono a salvare molte famiglie musulmane ospitandole nei loro templi. Per queste azioni ricevettero in Norvegia “Premio dell’Armonia del mondo” nel 2015.
“Se siamo pazienti l’un verso l’altro, tutti nel nostro paese possono vivere in modo prospero. Voglio ringraziarvi della vostra pazienza. Per favore continuate ad essere pazienti nel futuro” ha detto Seindita alla piccola folla intorno a lui.
“Non accuso nessuno. Da monaco siamo dei costruttori di pace” ha detto il monaco “e voglio che siamo tutti tolleranti. Ogni volta che c’è un conflitto nel paese, si fanno grandi danni e voglio incoraggiare tutti a fare il meglio per il paese”.
Poi ha offerto fiori ai presenti mentre andava verso l’amministrazione ad incontrare le autorità locali.
Questo atto di solidarietà del monaco U Bandatta Seindita ha generato positive note anche sui media sociali ed in molti sperano che possa essere una boccata di aria fresca dopo tanto ultranazionalismo e tanti sentimenti islamofobici, generati e diffusi da organizzazioni ultranazionaliste come Ma Ba Tha al cui centro ci sono monaci buddisti come U Wirathu.