Nella zona rossa a Phnom Penh le persone sono rinchiuse in casa per due settimane senza poter neanche uscire a comprare da mangiare
Ean Sotheavy è disperata. All’operaia della manifattura è vietato lasciare casa. Non ha soldi ed il riso è la sola cosa che rimane da mangiare per lei ed i suoi due figli.
“Il più piccolo non mangia altro che riso con lo zucchero, e per giunta la nostra riserva di riso è quasi vuota” racconta per telefono Sotheavy.
Sotheavy è una delle migliaia di persone di Phnom Penh a cui non è permesso ufficialmente di uscire di casa da 14 giorni. Molti vivono in un’area che le autorità cambogiane hanno definito zona rossa, l’area dove si è avuta una punta di infezioni di Coronavirus nelle scorse settimane.
La Cambogia combatte con la sua ondata maggiore di Coronavirus che ha fatto registrare nella scorsa settimana oltre 3000 nuove infezioni, oltre il 30% di tutte le infezioni nel paese sin dall’inizio della pandemia. Dagli inizi marzo la Cambogia ha registrato almeno 74 morti dovuti al Covid-19 mentre non ci furono morti nel lungo periodo precedente all’attuale ondata di infezioni.
Per combattere il virus a Phnom Penh che è l’epicentro delle infezioni hanno preso misure drastiche, come la chiusura di tutti i mercati per 14 giorni, un divieto temporaneo di vendere alcol e restrizioni ai movimenti necessari per assicurare che le persone non lasceranno le case se non per qualcosa di assolutamente necessario.
Nella zona rossa le persone non devono lasciare la propria casa per due settimane e non è permesso anche uscire di casa per comprare da mangiare.
Questa situazione causa tantissimo stress sulla giovane Sotheavy. Non lavora dal 13 aprile e per lei significa che non ha salario.
“Nella mia fabbrica un centinaio di persone erano state ritrovate positive. Anche io andai a fare l’analisi. Sebbene fossi negativa sono rinchiusa da allora e non so quando potrò ritornare a lavorare. Non ho più soldi. Al momento a casa mia nessuno guadagna qualcosa”
Il governo cambogiano ha promesso di portare da mangiare nella zona rossa, ma finora la distribuzione è stata limitata. Senza entrate e con la maggioranza dei mercati chiusi, la gente diventa sempre più disperata.
La scorsa settimana, secondo quanto scritto da Voice of Democracy, migliaia di cittadini di Phnom Penh tempestarono di messaggi il comune dicendo che avevano pochissimo da mangiare.
Sotheavy ed i suoi vicini non hanno ancora ricevuto nulla dalle autorità, ma c’è un raggio di speranza.
“Venerdì pomeriggio sono venuti a fare una lista di quante famiglie vivono in questo palazzo. Speriamo che ci porteranno qualcosa da mangiare” ha detto a LiCAS.news.
Varie ONG hanno criticato la mancanza di aiuti per i più vulnerabili della città, a chi vive di mera sussistenza e non riesce a sostenersi e alle loro famiglie che non guadagnano nulla da troppo tempo.
Alcuni gruppi di azione civile e individui privati hanno istituito dei propri programmi alimentari.
Chak Sopheap di Cambodian Center for Human Rights, CCHR, dice che è fondamentale che le autorità assicurino che tutti i cittadini abbiano accesso completo ai beni di prima necessità anche nelle condizioni di una serrata severa.
Il governo “deve anche fornire sostegno umanitario a chi non riesce a guadagnarsi da vivere durante la serrata e in generale a coloro che sono fortemente colpiti dalle ramificazioni economiche della pandemia per riuscire a far sopravvivere i più vulnerabili” ha detto Sopheap.
Finisce il cibo
Sul Veng Sreng Boulevard, un’area industriale di Phnom Penh dove sussistono tante fabbriche di confezioni, Thou Chanseng ha vissuto un brutto momento per sopravvivere nella serrata. Insieme al marito vende di solito pesce fresco e secco al mercato locale che però è stato chiuso per impedire la diffusione del virus, impedendole così di continuare il proprio lavoro.
“Per un po’ ho smesso di vendere perché le infezioni crescevano velocemente. Io e altri ambulanti siamo rimasti chiusi in una costruzione in affitto che è sopra il mercato” dice Chanseng.
Chanseng dice che le ambulanze e i medici giungono ogni giorno a controllare i residenti. Anche lei come tanti sta finendo la propria scorta di alimenti.
Da circa una settimana riesce a lavorare un po’ ma non le è permesso di vendere nel mercato e ha bisogno di stare dietro ad un cancello mentre i suoi clienti sono dall’altra parte. E’ difficile.
“Non ci è permesso di avere molte persone che si radunano. Se ci sono molte persone dai due lati del cancello la polizia verrà a sgridarci. E se non li ascoltiamo useranno i loro bastoni contro le persone.” dice Chanseng.
Una simile applicazione della zona rossa non è rara. Nelle scorse settimane sono apparsi sui media sociali video e foto in cui poliziotti armati di bastoni davano la caccia a persone a piedi fuori delle loro case. La polizia armata gira per le zona rossa per avvisare la gente che non possono lasciare le loro case.
Pene fortissime per le infrazioni della zona rossa
Lo scorso mese la Cambogia ha approvato una legge che permette di condannare qualcuno al carcere fino a 20 anni per infrazione delle leggi del COVID-19 e che punisce l’infrazione con multe fino a 5000 dollari.
La scorsa settimana varie persone sono state condannate al carcere perché si sono ritrovate a bere alcolici, altri per non indossare le mascherine o per aver oltrepassato i posti di blocco. Tre persone sono state multate perché bevevano caffè ad un bar.
Chak Sopheap dice che la nuova legge manca di trasparenza e controllo mentre non sono state consultate parti interessate.
“Di conseguenza contiene vari articoli problematici che non accolgono gli standard internazionali legali. Una preoccupazione particolare è la vaghezza e generalità della terminologia usata nella legge” dice Sopheap.
Secondo il direttore del CCHR la legge minaccia le voci critiche in Cambogia, minacciate anche da altre misure legali, ed “apre la porta ad interpretazioni soggettive e applicazioni arbitrarie”
La legge è difesa dal governo che sostiene la sua necessità per controllare velocemente la pandemia.
“Il paese che applica misure più stringenti può molto efficacemente controllare la diffusione della malattia” ha dichiarato al PhnomPenh Post il ministro della giustizia Koeut Rith.
Ma non impedisce che la gente soffra durante la serrata. Per molti a Phnom Penh non è una crisi sanitaria ma economica, come per una famiglia nella zona rossa che ha un ristorante in una dei centri commerciali maggiori della città.
“E’ un mese da quando non apriamo il nostro ristorante” dice uno della famiglia chiedendo l’anonimato.
“Paghiamo ancora l’affitto ma se continua così come possiamo sopravvivere?”
Yon Sineat Ate Hoekstra LiCA.news