“C’erano questi problemi politici” dice Verwey. Era stato contattato attraverso l’amabsciata olandese e subito si assunse l’incarico della crisi coinvolgendo il nuovo primo ministro, le forze armate e numerosi ministeri che cercavano di riparare le barriere rotte o di far scorre re l’acqua al mare mediante canali mantenuti male. Verwey sostiene: “Con un buon piano generale tutto questo sarebbe potuto essere previsto e prevenuto. Ma è la natura umana per cui qualcosa deve accadere prima che si faccia qualcosa”. Allora è preparata la nazione per una prossima volta?
E’ passato quasi un anno dal peggior disastro thailandese che la memoria ricordi, ed il quarto disastro più costoso al mondo, circa 45 miliardi di dollari. Progressi significativi sono stati fatti dicono gli esperti, Verwey compreso. Ma c’è ancora molto da fare. In un passaggio chiave il governo ha istituito un super comitato, guidato dal ministro alla Scienza e Tecnologia, Plodprasop Suraswadi, con l’incarico di sovrintendere alla gestione delle acque e alla connessione di tutte le parti in causa, un grande problema dello scorso anno quando le due dighe più grandi erano già piene per l’ottanta per cento quando furono colpite da varie tempeste tropicali.
Alla fine di agosto il governo ha allocato circa 20 milioni di dollari per la gestione delle acque oltre ai finanziamenti che aveva già approvato agli inizi dell’anno. Una parte dei soldi sarà spesa per un centro di comando di monitoraggio dell’alluvione a livello nazionale con l’aiuto della ditta olandese AGT International che ha già progettato un centro simile per il Fiume Giallo in Cina. Le forze armate per tre mesi hanno dragato più di 500 chilometri di canali, più di 2000 impiegati sono stati inviati in Corea ad apprendere da esperti coreani mentre a Bangkok giungevano personale cinese qualificato. Alcune misure sono di breve respiro mentre altre richiedono un più lungo periodo di tempo per essere operativi. Nel frattempo molte delle fattorie che costituiscono il cuore industriale thailandese a nord hanno preso la faccenda nelle loro mani.
Queste aree industriali, posizionate per lo più a pochi chilometri dal fiume Chao Praya sulla sua zona alluvionale, furono cancellate una alla volta lo scorso ottobre mentre l’acqua raggiungeva, in alcuni punti, i quattro metri mettendo fuori produzione varie multinazionali. La scorsa settimana ci sono stati gli ultimi ritocchi ad una barriera rinforzata attorno alla zona industriale Hi Tech, difesa che è poi stata replicata in altre zone industriali. Quasi tutte completate. Poco più a nord erano previsti i lavori per metà settembre per finire la protezione di un altra pietra miliare dell’economia thailandese, Ayutthaya che attira milioni di visitatori ogni anno.
“Tutte le nostre principali infrastrutture sono in buone condizioni” diceva Royol Chitradon, direttore dell’Istituto di informatica idrologica e agronomica. Secondo lui la differenza con l’anno scorso è che le aree alluvionali sono state estese, allargate, rinforzate e riabilitate, altre pompe sono state istallate per aumentare il flusso di acqua in uscita dalle aree popolate e l’acqua nelle dighe principali era stabilmente ridotta mentre ci si avvia all’inizio della stagione umida a maggio.
Benché di recente siano state allagate aree nel nord e nella parte occidentale del paese la stagione del monsone è stata molto meno feroce di quella dello scorso anno, dice Adityam Krovvidi, capo dell’ufficio della zona asia pacifico di Impact Forecasting della compagnia di assicurazione Aon Benfield. “Bangkok ha già visto la tempesta quasi perfetta lo scorso anno” diceva della stagione delle piogge che includeva cinque tempeste tropicali, già stagione delle piogge a sud e maree più elevate della media nel golfo della Thailandia. In altre parole secondo gli esperti sono eventi che accadono una volta ogni cento anni. L’esperto olandese Verwey dice di aver visto rapporti che prevedono lo stesso strano andamento una volta ogni 250 anni. Il problema per la Thailandia e per tante altre nazioni è che queste condizioni atmosferiche anomale è certo saranno più frequenti. Krovvidi avvisa: “Nel futuro la subsidenza dei suoli e fattori climatici potrebbero dare un loro contributo.”
Se Bangkok non fosse già posizionata in modo idilliaco per l’alluvione, essendo il punto basso di un paese circondato da montagne basse e, ha anche grossi problemi di subsidenza. Le previsioni più pessimistiche suggeriscono che parti della capitale potrebbe trovarsi sotto l’acqua per il 2030, considerata la popolazione crescente che estrae acqua dal sottosuolo ed altri fattori ambientali a dare il loro contributo.
Se si unisce tutto questo a quella di un paese che ha perso metà della sua copertura ad alberi negli scorsi 70 anni si hanno così gli ingredienti che portano ad una moderna Atlantide, situazione analoga in cui versano Manila e Ho Chi Min City, secondo un rapporto della fine dello scorso anno della Banca Mondiale, Asian Development Bank e International Cooperation Agency del Giappone.
Una architetta famosa Thailandese, che ha raggiunto le prime pagine dei giornali con un disegno del panorama di Bangkok galleggiante nell’acqua, Songsuda Adhibai, dice che i problemi di allagamento della futura Bangkok non sono solo di costruire sbarramenti e portare sacchi di sabbia. Sono necessarie soluzioni a lungo termine, di una pianificazione avanzata che vada al di là della mera gestione delle acque ma che consideri l’intera visione e funzione della città. “Non chiedete così in anticipo di un alluvione grosso. Bangkok è una città che non ha una pianificazione”
Steve Finch, http://thediplomat.com/2012/09/09/can-thailand-avoid-becoming-a-modern-day-atlantis/2/