La fine di ottobre scorso ha segnato i cinque anni da quando la diga idroelettrica di Xayaburi da 1285 MW di potenza ha iniziato le operazioni commerciali.
Essa fu il primo grande progetto idroelettrico sul corso principale del fiume Mekong ad essere prodotto in Laos. Per quanto sia stato annunciato da chi lo aveva proposto come una diga “trasparente” e “centrata sui bisogni della comunità” capace di esportare energia verde dal Laos alla Thailandia, la gente che vive su entrambe le rive del fiume testimonia una realtà che contraddice a queste promesse.
I laotiani e Thailandesi del posto hanno riportato un drastico calo nella popolazione dei pesci che ha creato problematiche economiche per la ricaduta nella relativa generazione di reddito.
Loro hanno notato grandi fluttuazioni sul livello e sul flusso del fiume che hanno portato all’erosione delle rive rendendo quasi impossibile alle famiglie di coltivare raccolti di sopravvivenza lungo la riva del fiume.
I media locali hanno spesso riportato quando l’acqua diventava visibilmente blu, priva di sedimenti fertili che sarebbero altrimenti scesi a valle ad alimentare i suoli per coltivare raccolti.
Allo stesso tempo la gente è stata abbandonata nell’oscurità sugli impatti attuali del progetto. Non sono stati rilasciati al pubblico valutazioni verificabili sui cambiamenti nelle popolazione di pesci migratori, nel carico dei sedimenti né sul flusso di acqua.
Né sono stati raccolti qualitativi per dare conto delle mere perditi sociali ed economiche per le comunità laotiana e thailandese non solo attorno al sito ma anche a monte e a valle.
Nel frattempo chi l’ha costruita continua a fare profitti, mentre crescono le bollette dell’elettricità della media delle famiglie in Thailandia, dove finisce la maggior parte dell’elettricità generata dalla diga idroelettrica di Xayaburi.
Piuttosto che fare un bilancio degli impatti transfrontalieri attuali della diga idroelettrica di Xayaburi sul benessere sociale, economico e ambientale delle comunità del Mekong, questi stessi costruttori, insieme ai rappresentanti del governo a Vientiane, fanno lavorare incessantemente i propri bulldozer avendo in mano gli accordi di acquisto pluriennali di energia di altri tre grandi progetti sul Mekong: le dighe di Pak Beng, Luang Prabang e Pak Lay. Allo stesso tempo portano avanti piani di sviluppo per altre quattro nuove dighe.
Alcuni sostengono che l’energia generata da questa costruzione potrebbe essere incanalata per alimentare un futuro sistema regionale di energia che inizia con la trasmissione di energia dal Laos, dove per l’ONU il 45% della popolazione vive o è vulnerabile ad una povertà multidimensionale, fino a Singapore via Thailandia.
Ai cittadini di Singapore si vende l’idea che questo accordo potrebbe beneficiare tutti nella corsa ad allontanarsi dall’energia dipendente dai combustibili fossili. Ma a chi giova questo accordo vincente e a quale costo?
Per il consumatore l’energia generata da dighe e trasportata per centinaia di chilometri è di fatto sostanzialmente più costosa di altre alternative a basso costo ed impatto, come i sistemi di energia solare da tetto, come documentato e riportato da International Renewable Energy Agency.
Ricavare energia dalle dighe idroelettriche non può essere considerata a basse emissioni di carbonio, perché distrugge l’assorbimento naturale di carbonio di sistemi fluviali liberi e degli ecosistemi circostanti. Inoltre esse generano emissioni di metano e diossido di carbonio quando la materia organica e la vegetazione sono inondate nelle riserve ed iniziano a decomporsi, oltre alla deforestazione di aree per fare spazio alla costruzione del progetto.
Nel mezzo della crisi climatica, sia nei periodi di siccita che di allagamenti, le dighe potrebbero non essere funzionali. Lo spostamento di comunità e la perdita di sostentamento per fare le dighe significa anche che questo accordo danneggia direttamente i diritti delle persone al sostentamento e ad un ambiente in salute lungo il fiume Mekong, aumentando piuttosto che alleviando la disparità economica.
In risposta, i gruppi delle comunità del Mekong, le reti di popolazioni indigene e le organizzazioni di difesa alleate si stanno coordinando a livello transfrontaliero per cogliere ogni opportunità possibile per richiamare l’attenzione sulle perdite sociali, economiche ed ecologiche irreversibili che si verificheranno con la costruzione di altre dighe in Laos e per proporre opzioni alternative per lo sviluppo del settore energetico.
Ciò ha comportato la presentazione di cause legali, la partecipazione e la presa di parola durante le audizioni parlamentari, l’organizzazione di raduni lungo il fiume, la segnalazione di problemi al difensore civico del governo thailandese e l’utilizzo di arene nazionali e internazionali per sollecitare il rispetto dei diritti umani da parte dei proponenti dei progetti di dighe.
Recentemente, in seguito alle osservazioni presentate da una coalizione di gruppi della società civile alla Commissione nazionale thailandese per i diritti umani (NHRC) sull’impatto transfrontaliero delle dighe sul Mekong, la NHRC ha concluso che lo sviluppo di altre quattro dighe sul Mekong “rischia di violare i diritti umani del popolo thailandese e la sovranità della Thailandia”.
Ha lanciato un fermo monito, invitando il governo thailandese a intraprendere studi appropriati sugli impatti cumulativi che si sono verificati dopo la costruzione della diga di Xayaburi e sollecitando la considerazione di “altre fonti energetiche alternative che non causino impatti sociali e ambientali e non violino i diritti umani”.
Ha inoltre sottolineato la responsabilità degli sviluppatori e degli investitori di progetti idroelettrici di agire in conformità con i Principi guida delle Nazioni Unite sui diritti umani.
Le comunità del Mekong si stanno schierando per la giustizia intergenerazionale, per mantenere il fiume Mekong fluente e garantire a milioni di persone che dipendono da esso la possibilità di prosperare.
Ora si tratta di capire se anche i residenti di Singapore – in quanto consumatori proposti dell’energia generata dalle dighe del Mekong – sono pronti a sfidare la necessità di un modello che non solo dipende da una scienza climatica obsoleta, ma anche dalla dislocazione e dall’espropriazione di alcune delle popolazioni più emarginate della regione.
Pianporn Deetes Tanya Lee Roberts-Davis TheDiplomat