Grandi marche internazionali e diritto del lavoro in Myanmar

Milioni di persone nel mondo indossano magliette firmate ZARA, o i pantaloni di H&M o le scarpe di Moschino, ma per loro resta un mistero dove queste grandi marche internazionali producono i propri prodotti.

Per tenere i costi bassi, le grandi marche internazionali spostano la produzione in fabbriche locali di paesi che hanno redditi molto bassi.

Ma togliere la produzione di queste marche dall’attività giornaliera può portare a grandi rischi per i lavoratori.

grandi marche internazionali

Violazione dei diritti del lavoro, abusi fisici e mentali, licenziamenti illegali e libertà sindacali limitate sono solo alcune delle precarietà che i lavoratori delle confezioni vivono anche in condizioni regolari.

Da quando i militari birmani hanno rovesciato il governo eletto del paese nel 2021 queste pratiche sono cresciute in un’atmosfera generale di impunità.

“Il manager di HR mi ha denunciato ai militari perché avevo partecipato a manifestazioni pacifiche in favore dei diritti del lavoro. Mi hanno rapito, hanno dato fuoco a casa mia, mi hanno torturato e spaccato in due la testa a mio fratello” ha scritto Aung in un rapporto della Federazione dei Lavoratori dell’Industria del Myanmar.

Aung era una lavoratrice della manifattura di tessuti per i conglomerati delle multinazionali come H&M e Marks&Spencer a Yangon nord-occidentale ed è stata licenziata dopo quanto accadutole dal gestore dell’azienda dove lavorava.

In questo angolo della catena di fornitura dell’abbigliamento fortemente globalizzata le grandi marche devono ancora trovare un modo per bilanciare i propri profitti con i diritti dei lavoratori e le altre pressioni dell’industria.

Due anni dopo il golpe le storie come quella subita da Aung sono sempre più comuni perché l’esercito fa di tutto per restare al potere tra inflazione e dure sanzioni industriali.

Mentre alcuni gruppi incoraggiano le compagnie a stare nel Myanmar con pratiche capaci di proteggere i lavoratori, molti lavoratori dicono di essersi arresi ad un sistema in cui i padroni delle imprese possono ignorare i loro diritti senza alcun ricorso. Sempre di più chiedono il ritiro immediato di tutte le marche internazionali dal paese per ridurre le entrate di valuta estera per i militari birmani.

All’inizio di questo anno Business & Human Resource Centre ha tracciato 198 casi di presunti abusi del lavoro e dei diritti umani fatti contro 104 mila lavoratori della manifattura dalla presa del potere dei militari.

Per Khaing Zar Aung, tesoriera della Confederation of Trade Unions Myanmar e presidente di Industrial Workers’ Federation of Myanmar, più a lungo restano le grandi marche internazionali nel Myanmar, più a lungo vivranno i militari.

“Le grandi marche internazionali portano quello di cui i militari hanno bisogno. Sono ugualmente responsabili per tutti gli omicidi che accadono nel Myanmar”

I lavoratori si mobilitavano già prima del golpe in favore della libertà di associazione e dei diritti del lavoro, ed ora dopo due anni aumentano i rapporti di violenza e di abuso da parte dei padroni che parlano di un peggioramento delle condizioni.

“Potremmo restaurare la democrazia in breve tempo se gli organismi internazionali la smettessero di dare legittimità ai generali quando portano moneta estera.” dice Khaing Zar Aung.

Crescono le violazioni del diritto del lavoro dopo il golpe

Prima del golpe i sindacati firmarono un accordo ufficiale con le imprese in cui erano racchiusi il diritto dei lavoratori alla libera associazione, alla malattia, a paghe eque e alla previdenza sociale. Le cose però sono cambiate da allora e nessuna protezione ora vige nelle imprese della manifattura.

Dopo il golpe i lavoratori dicono che i datori di lavoro cooperano con le autorità militari nella speranza di trarre dei benefici economici mentre si assicurano la protezione. I manager ora sono dei cani da guardia dei militari nelle loro imprese della manifattura.

L’Associazione delle imprese dell’abbigliamento hanno riportato che lo scorso anno ci sono state esportazioni per il valore di 4,7 miliardi di dollari, mentre dai dati forniti dalla Federazione dei Lavoratori dell’Industria si deduce che i salari dei lavoratori sono appena il 5,3% di quella cifra.

La paga minima attuale nelle industrie dell’abbigliamento in Myanmar è di 1,68 dollari al giorno, quasi la metà di quello che era prima del golpe in presenza di alti tassi di inflazione che ne seguì. Oltre a non essere sufficienti per nutrire una persona, i lavoratori non prendono soldi fino a quando non completano il lavoro assegnato e questo richiede di dover lavorare fino a 14 ore al giorno saltando anche il giorno di riposo settimanale.

“I lavoratori sono degli schiavi ora” dice Khaing Zar Aung. “E se denunciano gli abusi sono torturati, arrestati e persino uccisi dai militari”.

I militari hanno approfittato anche delle pandemia per smantellare i sindacati e perseguitarne i membri, secondo Mahisha Begum, del Business & Human Rights Resource Centre di Londra.

“Sono stati presi di mira sindacati e lavoratori ed i militari lavorano spesso in combutta con i datori di lavoro e bruciano i villaggi di chi sostiene i diritti del lavoro”.

Mentre alcuni lavoratori e sindacalisti non hanno altra possibilità se non restare, altri sono fuggiti o si nascondano all’estero o nei villaggi lontani per le continue intimidazioni. Khaing Zar Aung era in Germania poco prima del golpe e decise di rimanervi dopo il golpe. Ha continuato a lavorare nonostante la distanza fisica insieme al suo gruppo nel Myanmar. Loro ora sono dispersi nel paese e lavorano in gran parte in anonimato dopo che i militari hanno attaccato i loro uffici sequestrando documenti e computer. Molti sono stati anche arrestati e hanno subito la revoca dei loro passaporti.

L’organizzazione resta operativa ma spesso non può provare le presunte violazioni contro i lavoratori alle sedi centrali dei marchi, poiché dà priorità all’anonimato e alla sicurezza dei lavoratori. Dopo aver ricevuto le denunce, i marchi in genere avviano un dialogo con i dirigenti delle fabbriche accusate per indagare sulle violazioni. Ma una volta che una fabbrica nega le accuse, i marchi hanno poco o nessun potere per affrontare la questione alla base.

“I marchi non hanno alcuna leva. Devono solo andarsene” dice Khaing Zar Aung.

Uscita responsabile

La comunità imprenditoriale internazionale tra cui le grandi marche internazionale della moda, ha piani differenti.

La maggioranza dei grandi marchi internazionali del centro di tracciamento delle violazioni del Business & Human Rights Resource Centre affermano che le proprie catene di fornitura seguono le pratiche migliori come la conduzione della dovuta diligenza e applicano le misure correttive alle violazioni dice Natalie Swan, che gestisce il programma dei diritti del lavoro del centro.

“Non si assumono la responsabilità effettiva per le violazioni sul campo”, ha detto. “I marchi dovrebbero considerare un’uscita responsabile dal paese”.

Poiché i marchi non hanno obbligo legale di eliminare gli abusi dei diritti umani dalla loro catena di fornitura, Swan dice che il peso di condurre la dovuta diligenza non è molto sentita in paesi che hanno diritti del lavoro e partecipazione civile deboli.

La cosiddetta uscita responsabile è un concetto molto nuovo. Per la mancanza di regolamenti chiari, Myanmar ha recentemente visto crescere l’adozione da parte dei grandi marchi dell’approccio Taglia e Scappa che però lascia i lavoratori senza lavoro nel giro di un giorno.

Per evitare che questa pratica si diffonda, Clean Clothes Campaign, l’alleanza globale dei sindacati e organizzazioni non governative dell’industria dell’abbigliamento, ha rilasciato delle linee guida non ufficiali su come dovrebbe essere una dovuta diligenza nel settore in Myanmar. L’alleanza chiede ai grandi marchi di essere più trasparenti con gli azionisti, lavoratori, società civile e consumatori.

“Una buona uscita sarà una fatta in accordo con i diritti dei lavoratori e non a loro spesa. Alla fine quello che conta sono i bisogni dei lavoratori” dice Swan che sostiene che le migliori pratiche includono dialoghi in persona tra i rappresentanti delle imprese ed i lavoratori.

La realtà sul campo è differente, comunque, mentre continuano ad arrivare sulle scrivanie dei sindacati e dei gruppi di diritti umani rapporti di abusi e violazioni. Il famoso marchio europeo H&M è spesso nell’occhio del ciclone perché non riuscirebbe ad assicurare una giusta paga ai lavoratori e nega loro i diritti.

In un commento a Globe, il gruppo di lavoro dei media del marchio ha detto che H&M “continuerà a monitorare da vicino gli sviluppi del Myanmar. Nella situazione attuale siamo molto coscienti del fatto che tanti nel paese contano sulle imprese internazionali per la loro sopravvivenza. Per come stanno le cose, non prendiamo decisioni immediate sul posizionamento di futuri ordini e continueremo a lavorare con tutte le parti interessate”.

Mentre H&M non ha piani di voler lasciare il Myanmar, altre imprese occidentali come Primark, Aldi South Group e C&A hanno annunciato di voler lasciare il paese alla fine dell’anno. Ma per Swan non sono ancora state stabilite le condizioni per procedere con il ritiro che seguirà diversi percorsi, perché le relazioni tra marchi e padroni delle fabbriche variano per condizioni come la lunghezza dei contratti.

Poiché ogni fabbrica ha solitamente contratti con varie marche diverse, l’uscita di un marchio non necessariamente mina la sopravvivenza di un produttore.

“E’ un momento di attesa ora per vedere come i marchi che hanno annunciato l’uscita riusciranno a districarsi da quel mercato in modo sostenibile e responsabile” dice Swan.

Catena di Fornitura responsabile

Karina Ufert, amministratrice della EuroCham, camera di commercio europea nel Myanmar, e Vicky Bowman del Myanmar Centre for Responsible Business, non credono del tutto che siano possibili delle uscite responsabili. Credono che le imprese debbano continuare a produrre in Myanmar conducendo una più efficace dovuta diligenza e ad acquisire più forza consolidando i loro rapporti con i produttori locali.

“Mentre restano nel paese, i marchi possono fare leva migliorando le condizioni di lavoro per centinaia di migliaia di lavoratori” dice Ufert. “Il disimpegno dei marchi responsabili porterà solo ad un ulteriore deterioramento nei diritti dei lavoratori contribuendo alla crescita della disoccupazione”

Myanmar Centre for Responsible Business ed EuroCham nei decenni passati hanno applicato programmi per sostenere pratiche responsabili di affari come SMART TaG e il MADE, Multi-Stakeholder Alliance for Decent Employment, che intendono migliorare le condizioni di lavoro e ridurre gli abusi dei diritti, ma il loro avanzamento sotto questo governo militare appare incerto.

A settembre scorso la polizia di Yangon arrestò Bowman, già ambasciatrice britannica in Myanmar e residente in Myanmar, insieme al marito che è nazionale del Myanmar. Le accuse riguardavano la registrazione della Bowman come straniera nel paese, ma gli analisti credevano che l’arresto era in relazione alla detenzione di migliaia di persone dopo il golpe, un modo per reprimere il dissenso.

La coppia fu rilasciata a novembre insieme ad altre migliaia di persone e la Bowman parlava da UK quando Globe l’ha intervistata

“Le grandi marche internazionali devono andarsene ora”

EuroCham e i programmi aziendali responsabili hanno visto un forte contraccolpo dai sindacalisti e lavoratori che dicono che gli sforzi per sviluppare meccanismi per affrontare le lamentele si sono ritorti contro.

Poiché sono incentrati sull’addestramento di lavoratori ed imprese a creare procedure formali di gestione delle dispute, i programmi hanno incoraggiato anche i datori di lavoro a formare comitati di coordinamento del posto di lavoro con rappresentanti di tutti i livelli dell’organizzazione.

“Queste sono procedure impossibili in un paese dove sono vietati sia la libertà di associazione che la contrattazione collettiva. I lavoratori sono torturati o arrestati se sono coinvolti in tali meccanismi” dice Khaing Zar Aung.

I rappresentanti dei sindacati credono davvero che il modo più veloce ed efficiente per restaurare la democrazia e i diritti del lavoro nel Myanmar è che la UE ritiri ogni coinvolgimento di affari e finanziario dal paese. Khaing Zar Aung invita anche la UE ad applicare i propri valori e principi applicando davvero le sanzioni contro il Myanmar.

“Preferiamo perdere il nostro lavoro e dover soffrire per poco tempo piuttosto che continuare ad essere trattati come schiavi. I grandi marchi internazionali devono andarsene ora” dice Khaing Zar Aung

Beatrice SIVIERO, GLOBE_

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