Nel prossimo decennio, il governo ha deciso di intraprendere un progetto di spesa per infrastrutture da 180 miliardi di dollari deciso a trasformare l’economia filippina.
L’economista capo del ministero delle Finanze Karl Chua in un’intervista ha detto che il governo sta individuando 75 progetti bandiera, tra i quali sei aeroporti, nove ferrovie, tre centri di trasporto rapido di bus, 32 strade e ponti e quattro porti che aiuteranno ad abbattere i costi di produzione, a migliorare le entrate nelle province, incoraggiare gli investimenti nelle province, rendere efficiente il movimento di merci e persone e creare più lavoro.
Il governo mira anche a costruire quattro centrali energetiche che assicureranno un’offerta energetica stabile a prezzi più bassi; dieci progetti di acqua potabile e di sistemi di irrigazione che aumenteranno la produzione agricola; cinque impianti di controllo di allagamenti per aiutar a proteggere le comunità vulnerabili oltre ad accrescere la loro resilienza contro l’impatto del cambiamento climatico; e tre programmi di sviluppo che daranno soluzioni sostenibili per soddisfare meglio ai bisogni della popolazione urbana.
Se avrà successo, Duterte potrebbe una volta per sempre cambiare la reputazione delle Filippine come “il malato dell’Asia” ed entrare in un’era senza precedenti di sviluppo economico inclusivo.
Battere il ferro finché è caldo
Per essere giusti, gli ultimi anni hanno visto una crescita economica forte nel paese. Dal 2011 le Filippine sono uscite dalla tendenza di crescita economica mediocre per diventare una delle nazioni a più rapida crescita della regione.
La Banca Mondiale si attende una crescita del PIL da 6.7% nel 2018 e 2019, la maggiore nel sudest asiatico, mentre l’amministrazione Duterte spera di spingere la crescita nel campo tra il 7 e 8 percento.
Ma la crescita del paese è stata poco profonda e lontana dall’essere comprensiva lasciando relativamente intatti gli alti livelli di disoccupazione, povertà e fame. Ed è qui che entra in gioco l’agenda dell’economia alla Duterte “costruisci costruisci costruisci” con la speranza di colmare la differenza nelle economie delle scorse amministrazioni. Le infrastrutture sono chiaramente il tallone di Achille delle Filippine.
Le cattive infrastrutture che frenano le Filippine
Da un lato le infrastrutture sono state un grande cruccio per gli investitori esteri che sono stati scoraggiati dalle deboli infrastrutture e dai costi pesanti delle merci. Questi investimenti sono fondamentali per creare lavori ben remunerati per i milioni di poveri e disoccupati.
Secondo uno studio autorevole del JICA, agenzia della cooperazione internazionale Giapponese, la congestione del traffico a Manila, causata dalle cattive infrastrutture, è costata 45 milioni di dollari nel 2012, cifra che sarà almeno il triplo nel 2030.
Secondo il rapporto sulla competitività del World Economic Forum, le Filippine sono al 97° posto al mondo per infrastrutture. In un altro rapporto dell’ONU le Filippine sono al V posto nel sudestasiatico per accesso alle infrastrutture fisiche.
I due predecessori, Arroyo ed Aquino, hanno presieduto un decennio di riforme macroeconomiche sostenute legate al controllo fiscale, inflazione bassa, crescita del surplus commerciale e stabile crescita economica.
Tuttavia il costo delle loro politiche economiche disciplinar fu la mancanza di investimenti sufficienti nelle infrastrutture fondamentali. Con l’amministrazione Aquino in particolare una grande preoccupazione fu il sottoutilizzo degli investimenti.
Le amministrazione di Aquino come di Arroyo dipendevano moltissimo dai progetti di partnership pubblico privato con i conglomerati locali che mancavano di competenze appropriate.
Duterte comunque può costruire a partire dall’eredità dei suoi predecessori spostando la torta fiscale in espansione per affrontare le preoccupazioni sulle infrastrutture. Facendo leva sui propri tassi di approvazione elevati, insieme ad una direzione nuova della politica estera, come pure ad un coalizione da supermaggioranza parlamentare, la sua amministrazione sta schierando i fondi necessari per finanziare e sostenere il suo piano economico ambizioso.
Chi pagherà il conto?
Diversamente dai suoi predecessori, Duterte sta affossando la modalità di Partnership pubblico privato a favore di un maggiore affidamento alle entrate governative come pure Official Development Assistance, ODA, Giappone e Cina come fonti principali di finanziamenti infrastrutturali.
Per sostenere questa modalità, Duterte ha normalizzato le relazioni con la Cina, che ha offerto 7.3 miliardi in investimenti in infrastrutture, ed il Giappone che è l’investitore maggiore da decenni nelle Filippine.
Duterte ha anche approvato un nuovo pacchetto di riforma fiscale che si attende crei sufficienti entrate per finanziare la spesa infrastrutturale. Secondo Karl Chua, fino al 70% delle nuove entrate, stimate nei prossimi cinque anni a 786 miliardi di peso, sono affidate al sostegno della campagna “costruisci costruisci costruisci”.
Il ministro per la comunicazione Martin Andanar ha detto che il governo spera che la riforma delle tasse “non risolverà solo i gap infrastrutturali ma sosterrà anche la crescita futura del paese”.
La visione ambiziosa di Duterte sulle infrastrutture potrebbe essere ostacolata dalle sfide croniche. Dubbi sono stati espressi da esperti sulla capacità da parte delle agenzie governative di stare nei progetti in modo competente ed in tempo; sul rischio di corruzione di vasta scala e le anomalia degli appalti che colpiscono progetti stranieri specie se guidati da cinesi; sulla mancanza di lavoratori delle costruzioni e di lavoratori specializzati; sulla crescente pressione della moneta filippina per il bisogno di importare beni immediati e tecnologie per il boom infrastrutturale.
I sostenitori comunque affermano che dovesse il governo non riuscire ad ottenere la metà delle sue ambizioni, Duterte potrebbe finire nella storia come il messaggero di una età dell’oro della costruzione di infrastrutture nel paese.
Le infrastrutture potrebbero ben essere una delle eredità che definiranno il presidente filippino.
Richard Heydarian, Forbes.com