Orang Asli e la deforestazione nello stato Pahang malese

Non siamo mai andati a scuola, dicono gli abitanti indigeni Orang Asli del villaggio malese di Kampung Berengoi nello stato Pahang.

Ed a loro, lo scorso anno è stato chiesto da una compagnia privata YP Olio di firmare delle lettere per avere gratuitamente una casa, e senza leggerle hanno sottoscritto fidandosi dei rappresentanti del governo locale che accompagnavano i rappresentanti dell’impresa.

Se avessero letto quella lettera, avrebbero visto che si affermava che loro “non si opponevano al progetto di sviluppo sul suolo della YP Olio”, la cui natura non era specificata.

orang asli malesi del Pahang
Aminah A/P Tan Kay Hoe

Poi giunge agli Orang Asli la notizia bomba che l’impresa aveva scambiato la loro accettazione delle case come un sostegno per i progetti di deforestazione e di piantagioni, cose che avversano sin dal 2019.

“Non sapevo che accettare la casa significasse accettare il taglio delle foreste” dice a GLOBE Omar Rani, un Orang Asli di Kampung Berengoi. “Nessuno ha mai detto che le lettere erano per il taglio delle foreste”

Un legale che sostiene il gruppo degli Orang Asli malese ha definito il contratto “una frode”, mentre un altro lo accusa di “aver sfruttato la buona fede degli Orang Asli”.

Il progetto della YP Olio taglierà circa 85 chilometri quadri di foresta, la perdita maggiore di copertura a foresta dello stato del Pahang da 20 anni in un’area protetta fino alla fine del 2020.

La compagnia si prefigge con questo progetto che è sotto revisione di VIA al ministero dell’ambiente federale, di coltivare l’olio di palma ed un albero esotico per legname, Paulownia.

Il progetto secondo molti gruppi distruggerà gli habitat di molte specie in via di estinzione e caccerà dalle foreste molti Orang Asli, otto famiglie dei quali vivono in due villaggi sul sito.

Quello che accade nel villaggio di Kampung Berengoi, l’ultima notizia di una lunga lotta delle comunità indigene per i diritti consuetudinari della terra in Malesia, lotta che sembrava aver trovato la svolta quando nel 2018 giunse al potere la coalizione del Pakatan Harapan che prometteva di difendere i diritti delle popolazioni indigene.

Il governo del Pakatan Harapan però cadde a febbraio e da allora le dispute sulla terra degli Orang Asli sembrano non terminare mai.

“Il problema delle terre è da decenni una situazione difficile che gli Orang Asli hanno davanti” dice Jerald Joseph della Commissione dei Diritti Umani della Malesia, Suhakam.

“Sta peggiorando come scontro tra sviluppo e vita tradizionale degli Orang Asli che, per ironia della sorte, non sono contrari allo sviluppo ma chiedono che sia sostenibile e che non distrugga la loro terra e le culture ancestrali”.

Con Orang Asli si intende in malese il popolo nativo, originario, e mette insieme differenti tribù indigene per un totale di 220mila persone nella penisola malese.

Sono i più poveri, i più malnutriti e meno istruiti del paese e l’insicurezza della terra esemplifica il loro dramma.

Da decenni gli Orang Asli hanno dovuto sostenere battaglie legali ed erigere barricate per affermare i loro diritti. Un cambio notevole giunse ad aprile 2019 con il nuovo governo federale del Pakatan Harapan che indisse la prima Convenzione Nazionale degli Orang Asli, dove i vari delegati sottolinearono la loro lotta e produssero 136 risoluzioni in cima alle quali c’era il riconoscimento dei diritti della terra.

Quando il governo federale di allora iniziò a voler implementare le varie risoluzioni, a febbraio 2020 il governo del premier Mahathir Mohamad fu fatto cadere e la coalizione che lo sosteneva crollò per lo scoppio di lotte intestine.

Col cambio di governo ebbe una fine veloce anche quella tendenza nascente di riforma dei diritti delle popolazioni indigene, mentre continuavano ad accumularsi le dispute degli Orang Asli.

Nei sei mesi scorsi, almeno tre comunità di Orang Asli hanno ricevuto lo sfratto dopo che il governo del Pahang ha dato la terra alle imprese di sviluppo.

Appena due anni fa, Omar usciva della sua capanna dentro la foresta e camminava per 15 chilometri verso occidente sotto un tetto di alberi, ad osservare le tracce dei tapiri, degli orsi, dei leopardi d’Asia e degli elefanti, forse persino le tigri.

Ma alla fine del 2019 cominciarono a tagliare le foreste e nel giro di un anno si è esteso per 5 chilometri ad occidente della capanna di Omar il suolo nudo, e continua imperterrito il diboscamento.

“Amiamo la foresta, custodiamo i fiumi” racconta Omar. “non possiamo accettare che si intromettano nella nostra terra”.

Il padre di Omar, Rani Jimal, raccoglie nella foresta frutti, i vimini, caucciù e piante medicinali.

“La mia vita non può andare avanti senza la foresta. I miei alimenti della foresta spariranno. Come posso sostenere il progetto di diboscamento?”

La YP Olio detiene il sito del progetto con un leasing di 99 anni dal governo dello stato del Pahang a partire da 20 dicembre 2019. Il sito contiene oltre 4000 ettari di suoli della tradizione reclamati nel 2017 dagli Orang Asli, senza che il governo li abbia riconosciuti.

“Nel Pahang c’è una tradizione cattivissima di mancati riconoscimento e protezione dei diritti della terra degli Orang Asli” dice Colin Nicholas che si laureò sulle questioni degli Orang Asli e che ha fondato il Center for Orang Asli Concerns nel 1989.

Nicholas mostra i dati ufficiali che indicano che solo 7156 ettari di suoli della tradizione degli Orang Asli sono stati riconosciuti formalmente con avvisi legali del governo, come aree degli aborigeni o riserve nel Pahang, ma da anni altri 45mila ettari attendono di essere riconosciuti.

“E’ un caso chiarissimo in cui il governo non li protegge. E poiché sono terre non assicurate agli Orang Asli possono essere preda di chiunque”.

Stando ai dati del rapporto dell’EIA tra settembre 2019 e dicembre 2020, sono stati tagliati almeno 1684 ettari di foresta sui suoli della YP Olio attorno al villaggio di Omar. I residenti denunciarono il diboscamento, e a novembre 2019 Omar con l’aiuto di un parente istruito inviò una lettera a varie agenzie del governo di protesta contro il progetto della YP Olio sulle loro terre.

Non fu l’unica voce. Il rapporto EIA mostra che 85% degli Orang Asli intervistati vicino al sito si oppongono al progetto e nel villaggio di Omar tutti si sono opposti.

“Se continua il progetto i nostri alberi e orti saranno tagliati. Hanno già danneggiato le tombe dei nostri antenati. Non abbiamo un posto dove andare. Come spostarsi? Questo è il nostro luogo ereditato da generazioni” dice Omar.

Quattro di coloro che hanno firmato la lettera hanno detto di aver firmato senza sapere che fosse legato al diboscamento.

Un avvocato malese specializzato sui diritti degli Orang Asli, Kai Ping Hon, ha definito le lettere una truffa. Se non sapevano che accettare le case significasse accettare il diboscamento e le piantagioni, loro “devono scrivere per revocare la loro firma” ha detto Hon che aggiunge:

“Inoltre devono di fatto denunciare le varie autorità specialmente se il progetto va avanti”.

Joseph di Suhakam, che contesta le lettere perché non sono lo standard di un consenso preventivo, libero ed informato, dice che tali discussioni con gli Orang Asli devono essere fatte con la presenza di rappresentati che “hanno a cuore i loro interessi” per evitare interpretazioni differenti o sbagliate.

Queste lettere “sfruttano la buona fede degli Orang Asli e non fanno conoscere completamente il progetto alle popolazioni originali del villaggio”.

Il ministero dell’ambiente ha detto a Globe che sta indagando sulle accuse di inganno nel far firmare le lettere agli Orang Asli, mentre il primo ministro del Pahang non ha dato alcuna risposta.

L’impresa YP Olio attraverso i legali rappresentanti rifiuta simili accuse di frode e rappresentazione ingannevole nel trattare con gli Orang Asli.

La YP Olio ha quattro direttori. Il fondatore è Tun Putera Yasir Ahmad Shah bin Mohamed Moiz che possiede il 50% dell’impresa attraverso la Metallic Hallway Sdn Bhd ed è nipote del sultano del Pahang, attuale re della Malesia.

I direttori di YP Oliohanno scritto a Globe dicendo di “aderire a protocolli e gestione appropriati” e che “lavora da vicino” con le importanti agenzie del governo e in “stretta aderenza della legge”.

I direttori non hanno però risposto alla domanda di Globe se gli abitanti avessero acconsentito al progetto di diboscamento e piantagioni della compagnia, dicendo però che la compagnia nel trattare con gli Orang Asli lo ha sempre fatto in presenza di funzionari del Dipartimento di Sviluppo degli Orang Asli, JAKOA, agenzia del governo creata in base alla legge dei popoli aborigeni del 1954.

La presenza di funzionari del JAKOA in accompagnamento dei rappresentanti della YP Olio è stata confermata da Omar e Rani i quali aggiungono che essi non hanno detto nulla sul fatto che la loro firma fosse legata al consenso sul taglio delle foreste.

Nicholas contesta che il JAKOA “ha mancato nella propria responsabilità di informare gli Orang Asli su ciò che era in serbo per loro con quella firma dell’accordo”

Nessuna risposta alle domande di Globe da parte di JAKOA, Ministero delle foreste del Pahang e dal dipartimento dei parchi della Malesia.

Da parte sue YP Olio promette di dare priorità agli Orang Asli per il lavoro nel nuovo progetto. Il rapporto EIA conclude che il progetto può sviluppare l’economia e mitigare l’impatto ambientale se si adottano misure di mitigazione come il drenaggio per ridurre l’erosione, barriere elettriche per allontanare gli elefanti e nuove aree protette per la fauna selvatica.

Il rapporto dell’EIA però fa conoscere che tutti gli intervistati Orang Asli contestano che questo progetto porterà loro lavoro o migliorerà le loro entrate. Piuttosto ci saranno problemi ambientali di inquinamento dei fiumi, perdita di prodotti della foresta e danni per la costruzione delle strade.

Mentre chi sviluppa godrà i benefici della vendita di legname e olio di palma, a subire le perdite delle ricadute ambientali saranno i gruppi indigeni, i residenti oltre allo stato e i governi federali.

Oltre a cacciare gli Orang Asli dalle loro terre, il progetto distruggerà ettari di foreste e habitat primordiali della fauna selvatica.

Secondo i dati satellitari, l’ultima volta che il sito era stato trattato in modo sostenibile fu tra il 1989 e 1994.

In Malesia le riserve forestali sono diboscate in modo selettivo ogni 30 anni e nel 2018 la foresta si era rigenerata in un’area ecologicamente ricca con alberi alti fino a 30 metri. La foresta ora sarà tagliata senza prospettiva di rigenerazione.

Pahang è la zona più ricca in foreste della penisola malese, ma nello scorso decennio ha perso circa 15565 ettari di riserve forestali. Questo sito con quasi 8500 ettari è la perdita maggiore di foresta a Pahang negli ultimi 20 anni.

La perdita continua di riserve di foresta nel Pahang non è sostenibile, secondo Balu Perumal di Malaysian Nature Society (MNS). Sebbene il governo dello stato abbia approvato il progetto YP Olio a condizione che sia sostituita la perdita della foresta, per Perumal questo non si verifica ora.

Il rapporto EIA stima che nei prossimi 30 anni, il progetto porterà ad una perdita netta in servizi ambientali di 9,5 milioni di dollari a dire che la vendita di legname e olio di palma non sono sufficienti a bilanciare il costo di perdita di funzione della foresta in termini di sequestro di carbonio.

“Il governo dello stato, per prima cosa, non doveva cancellare i diritti e dare la foresta per la conversione” dice Perumal del MNS che fu invitato dal ministero dell’ambiente per esaminare il progetto.

L’area si trova tra la foresta costiera di acquitrini e le foreste umide dell’interno.

“Consegnare questa area alle piantagioni e altre attività insostenibili” rovinerà l’integrità del panorama forestale, secondo Perumal il quale mette in guardia contro l’eliminazione dello spazio dove i grandi mammiferi possono muovere per rinchiuderli in pezzi di foresta isolati, perché crescerebbero i conflitti della fauna selvatica e l’uomo.

Ultime indagini hanno rivelato la presenza di vari animali selvatici tra cui i buceri con l’elmetto e gli elefanti.

Ci sono indicazioni che vivano le tigri sul luogo del progetto e c’è un incidente del 2017 in cui è coinvolta una tigre, secondo i dati EIA.

Uno dei direttori di YP Olio, Felix Danai Link, che è per ironia della sorte associato con un progetto di salvaguardia della tigre in Thailandia, è direttore del conglomerato dell’energia in Thailandia B. Grimm Power PCL. Lui insieme al figlio Harald sostengono il progetto del WWF Thailandia sulla protezione della tigre da sette anni.

“Chi ha tradito fondamentalmente la fiducia degli Orang Asli è il governo dello stato” dice Nicholas esperto di questioni degli Orang Asli. “Alla fine dobbiamo andare in tribunale … Ci vorrà tanto lavoro ma in termini di diritti con la legge consuetudinaria, hanno buone probabilità” dice Nicholas che cita i precedenti dove le corti malesi riconoscono i diritti consuetudinari degli Orang Asli.

“Ci guadagniamo da vivere nella foresta. Possono cadere fulmini o venire tempeste, elefanti o tigri, non importa” racconta Rani.

Alcuni abitanti si radunano attorno a lui e al figlio Omar e alzano i pugni in aria.

“Ora cosa vogliono governo e i grandi rappresentanti? Non hanno compassione o un pensiero per noi, gente della foresta?” dice Rani.

“Non siamo d’accordo” dicono gli abitanti. “Rigettiamo il taglio delle foreste”

Yao-Hua Law Globe

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